Il vicepremier ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio intende acquisire «le conoscenze che ha la Germania sul piano dei centri di impiego e sul percorso che serve per trovare lavoro a chi prende uno strumento di sostegno al reddito». Lo ha detto ieri a Berlino, nell’ambasciata italiana, dopo un incontro bilaterale con il suo omologo tedesco Hubertus Heil: «Non abbiamo parlato della finanziaria ma del reddito di cittadinanza – ha precisato Di Maio – Noi vogliamo rifarci al sistema di politiche attive di sostegno al lavoro che c’è in Germania. E questo con sommo stupore ha portato a un’affermazione del ministro del Lavoro, che ha detto: “adesso ho capito che il reddito di cittadinanza non è uno strumento assistenzialista, ma uno strumento di politiche attive del lavoro, come il nostro Hartz IV”». Un «team» italiano acquisirà le informazioni da uno omologo tedesco.

L’«Hartz IV», il sussidio sociale introdotto dall’omonima riforma del governo Schroeder dal 2005, è definito Arbeitslosengeld II, letteralmente il «denaro per la perdita del lavoro». Non va confuso con il sussidio di disoccupazione (Arbeitslosengeld I). Questo sussidio è una versione del vecchio sistema di sostegno denominato “aiuto sociale” (Sozialhilfe), ora applicabile a tutte le persone bisognose e in grado di lavorare tra i 15 ai 65 anni, ai loro figli e partner della stessa famiglia. È rivolto a chi guadagna meno di 890 euro al mese, ma più di 140 euro nel caso dei non tedeschi, non ha sostanzialmente risparmi sul conto corrente. Consiste in un sussidio pari alla differenza tra il tetto di 890 euro (in Italia sarebbe di 780) e l’effettivo reddito dell’Arbeitsloser. Nella cifra tedesca è compreso anche l’affitto.

Dopo varie proteste, il sistema prevede la parità di trattamento tra uomini e donne, tassi di integrazione per famiglie monoparentali, disabili, donne incinte e pagamenti extra dopo la nascita di un bambino o l’ingresso a scuola, più una somma mensile massima di 10 euro, spesso pagata come assegno o voucher per le attività educative, culturali e sociali dei bambini. In cambio il lavoratore matura un rapporto di quasi dipendenza con il «Jobcenter» (il centro per l’impiego): deve comunicare spostamenti, frequentare corsi, prendere il domicilio in Germania (se ha il permesso di soggiorno, o l’asilo), comunicare le malattie.

Al limite può durare a vita. Anche per questo si parla di un mercato del lavoro parallelo, senza uscita. Dal 2003 fino ai tempi recenti sono stati calcolati 4,9 milioni mini-jobbers,sono raddoppiati i nebenjobber, coloro che uniscono ad un lavoro a tempo determinato o indeterminato anche un Minijob: circa 2,7 milioni di persone. L’effetto è duplice: da un lato, la riduzione del lavoro in nero e la disoccupazione; dall’altro lato la crescita di un mercato dei cosiddetti “lavoratori marginali”. L’importo medio massimo di questi lavori è di 450 euro mensili, con un limite di ore teorico di circa 15 ore settimanali.

Hartz IV è una codificazione, integrazione e perfezionamento di un fenomeno contemporaneo: la coesistenza tra realtà diverse dei lavori dove la marginalizzazione e la precarizzazione sono sostenute da un sistema di sussidi che non permettono di superare la povertà, ma la riproducono attraverso salari insostenibili.

Sono numerosi gli studi, non solo in lingua tedesca, che descrivono il passaggio da una disoccupazione permanente a un’occupazione instabile a basso salario necessaria per aumentare il tasso di occupazione e sostenere la tesi di un «mercato del lavoro» a pieno regime. Si segnala anche la crescita di un processo ricorsivo che spinge il soggetto a chiedere ulteriori sussidi che rendono persistente la condizione di povertà del lavoratore precario, nonché il consolidamento dell’immagine normativa del «cittadino normale che lavora» secondo un rapporto contrattuale standard, rendendo più difficile ottenere la partecipazione delle persone che non rientrano nello schema del «lavoratore attivo» che non riesce a entrare nel perimetro ideale predefinito. Questa è la storia del fallimento delle promesse neoliberali che avevano accompagnato sia la riforma del mercato del lavoro in Germania, sia quella in Gran Bretagna al tempo di Blair: le “politiche attive del lavoro” avrebbero dovuto “abolire la povertà” (proprio come ha sostenuto di recente Di Maio in Italia). E’ accaduto qualcosa di diverso: oggi esistono milioni di lavoratori poveri.

Chissà se gli esperti tedeschi informeranno i colleghi italiani sul probabile effetto che produrrà il sussidio di povertà chiamato impropriamente «reddito di cittadinanza» in Italia. L’impressione è che, in queste settimane, il governo Lega-Cinque Stelle abbia deciso di riapplicare qualcosa che non è stato fatto alla fine degli anni Novanta, in un mondo che è cambiato profondamente, senza tenere conto dei problemi esplosi nei paesi come la Germania che lo hanno fatto.

Di Maio ha ipotizzato «un decreto legge ad hoc» successivamente all’approvazione della legge di bilancio. Dato che sarà approvata – conflitto con la Commissione Ue permettendo – entro Natale e che il sussidio di povertà partirà ad aprile si potrebbe prefigurare la seguente situazione: dato che la misura partirà ad aprile 2019, in tempo per le elezioni europee, il governo avrebbe tempo poco meno di tre mesi per presentare, fare approvare e applicare una legge capace di orientare la prospettata trasformazione epocale dei centri per l’impiego e l’introduzione del sussidio di ultima istanza vincolato al lavoro gratuito per otto ore a settimana per lo Stato e alla formazione obbligatoria nei centri per l’impiego ancora da riformare.