C’è una violenza che è nella terra: una crosta impenetrabile dove per vivere devi lottare, combattere corpo a corpo contro la natura. È questa la vita nel Corno d’Africa dove ci sono zone in cui non piove per anni (a Saacow in Somalia non ha piovuto per tre anni e mezzo). Una violenza dove è ciò che manca a dire ciò che è: l’assenza è l’essenza.

Passare settimane a cercare acqua, lottare contro altri tuoi simili, difendere un confine ancestrale che ti assegna quel pezzo di territorio. Da questa prima violenza ne discendono come per osmosi altre che si sono amplificate negli anni con la diffusione delle armi: per difendersi e per attaccare. Mentre una volta in quelle terre si attaccavano i nemici solo in caso di siccità, oggi lo si può fare per recuperare «i soldi» per sposarsi. In passato poteva scapparci il morto ora è la regola.

A questo si aggiunge che negli anni il confine del nord Kenya è stato costellato da conflitti, prima Etiopia, poi nord Uganda, di seguito Sudan e Somalia: alla violenza della terra si è aggiunta quella dell’uomo. Confini incontrollabili in zone scarsamente popolate a cui il Kenya ha cercato di porre rimedio iniziando, nel 2014, a costruire una recinzione lungo la frontiera con la Somalia per fermare i passaggi di persone, droga e armi. Sono stati costruiti 5,3 km di recinzione su una frontiera lunga 700 km.

Una dimostrazione di debolezza per far vedere che il Kenya c’è in una zona di fatto senza Stato. E d’altra parte come fa a esserci uno Stato se non ci sono città, popolazione (la densità è qualche decina di persone per km quadrato) e interessi economici? Nelle contee che segnano il confine nord del Kenya il 90% delle famiglie è «povero» o «molto povero», non ci sono servizi adeguati (ospedali, strade, scuole – secondo l’Unicef solo il 27% dei bambini va alle elementari).

Sono zone dove la vita si gioca sul confine della sopravvivenza biologica. Qui prende forma uno stadio minimale e collettivo di «vita nuda». Non ci sono governi, news, black Friday, ma lotta quotidiana per la vita: «Ci sono stati anni – racconta Rukiya – in cui ho camminato anche 30 km per arrivare al pozzo». Problemi che si sono ulteriormente intensificati con il cambiamento climatico.

In questo contesto il governo del Kenya prova a mostrare di essere presente: ieri, la polizia ha arrestato altre 6 persone, oltre i 14 di giovedì, tutte sospettate di essere coinvolte nel rapimento di Silvia Costanza Romano. Secondo quanto dichiarato dal capo della polizia Joseph Boinett, gli arrestati avrebbero fornito informazioni preziose per rintracciare i rapitori. Le ricerche continuano anche grazie a droni che stanno sorvolando il territorio.

Da parte italiana è intervenuto il ministro degli Esteri Moavero: «È un episodio terribile che stiamo seguendo dall’inizio con l’unità di crisi della Farnesina. Le autorità keniote si stanno impegnando molto e noi stiamo seguendo molto, molto da vicino». Si attende un segnale dai rapitori, la diplomazia italiana è pronta a trattare.