È tornato l’Af-Pak (l’Afghanistan-Pakistan), che per la verità non era mai scomparso. È la grande rivincita dei pashtun, dopo la sconfitta del 2001, ma anche la vittoria del Pakistan. La bandiera bianca dell’Emirato sventola sulle madrasse (le scuole islamiche)della North West Frontier, roccaforte dei pashtun che tra qui e l’Afghanistan _ sui due versanti della Durand Line _ costituiscono una “nazione” virtuale stimata in 40 milioni di anime.

I legami tra Pakistan e talebani sono stretti e inequivocabili. I seguaci del Mullah Omar si formarono grazie al supporto dei servizi segreti pakistani e di Nasrullah Babar, ministro degli interni di Benazir Bhutto.
E se visitate la Darul Uoulum Haqqania, la scuola coranica Deobandi nella provincia pakistana del Khyber, scoprite che in tanti di loro hanno studiato qui, compreso Serajuddin Haqqani, il ministro degli interni, capo di una potente rete jihadista e d’affari, che ha sul collo una taglia americana da 5 milioni di dollari.

Senza il Pakistan i talebani non ce l’avrebbero fatta a resistere per vent’anni.
Quello di cui ha più bisogno un gruppo estremista è un luogo sicuro dove organizzarsi, reclutare e raccogliere fondi. E’ questo che il Pakistan ha offerto ai talebani. Basti pensare che il capo del governo ad interim di Kabul, il Mullah Hassan Akund, sulla lista Onu dei terroristi, è pure il capo della Shura di Quetta, il comando dei talebani in Pakistan. Non è un caso che il governo sia anche il risultato della mediazione tra le fazioni talebane del capo dei servizi pakistani (Isi), Faiz Hameed. Hameed era presente quando il 29 febbraio 2020 gli Usa firmano a Doha l’accordo con i talebani: i pakistani hanno seguito passo dopo passo tutta la vicenda, a partire dalla scarcerazione nel 2018, su richiesta americana, del Mullah Baradar che tenevano in carcere da otto anni. Baradar nel 2010 stava negoziando per conto suo con l’allora presidente afghano Hamid Karzai ma venne arrestato a Karachi dai pakistani temendo che potesse essere minata la loro influenza su Kabul. Poi Baradar è stato adeguatamente “istruito” dai pakistani ed è entrato nel negoziato di Doha.

Nei giorni scorsi sono circolate foto che immortalavano Hameed in preghiera con Baradar, oggi vice capo di governo che viaggia con un passaporto pakistano.
Altro che legami “segreti”: i pakistani dell’Inter-Service Intelligence (Isi) hanno fornito, soldi, armi e assistenza militare per l’avanzata dei talebani e la conquista del Panshir.
L’Afghanistan è considerato essenziale alla “profondità strategica” del Pakistan nucleare nel conflitto eterno che lo contrappone all’India nel Kashmir, un tassello irrinunciabile per la sua sopravvivenza. Non è un caso che l’India, alleata dell’ex presidente Ghani, abbia frettolosamente chiuso le sue rappresentanze diplomatiche in Afghanistan mentre i talebani conquistavano una provincia dopo l’altra.

È in questa geopolitica che si inserisce il ruolo della Cina, il maggiore investitore in Pakistan in gasdotti, strade, porti e ferrovie che fanno parte della nuova Via della Seta. Il Pakistan intende mandare un messaggio a Pechino: “Siamo noi i garanti del governo talebano e possiamo influenzarlo in maniera decisiva”. E qui che si gioca la credibilità dei generali pakistani, amici non riluttanti dei fondamentalisti ma anche bersaglio degli attentati della rete pakistana dei talebani (Ttp) e dell’Isis-Khorassan, gruppi per altro infiltrati dagli stessi agenti di Islamabad. Il gioco pakistano è complesso e pericoloso.

Ma il governo talebano filo-pakistano è anche uno strumento negoziale nei confronti di Usa ed Europa. Il Pakistan infatti è nominalmente un alleato dell’Occidente, anche se proprio in Pakistan venne ucciso Osama bin Laden mentre il Mullah Omar morì in un ospedale di Karachi.
Nelle ultime settimane il capo della Cia Williams Burns è stato più volte a Islamabad per incontrare i vertici militari: in discussione c’è la disponibilità del Pakistan a sostenere operazioni americane anti-terrorismo in Afghanistan, visto che gli Usa non hanno più truppe e intelligence sul terreno.

Anche con gli europei il Pakistan cerca di capitalizzare il suo ruolo chiave. I ministri degli esteri europei, compreso il nostro, in poche settimane sono passati dalle critiche al Pakistan sui diritti umani a lodi sperticate a Islamabad, per due motivi: 1) il Pakistan è l’unico grimaldello degli occidentali a Kabul 2) i pakistani si devono prendere migliaia di profughi. I pakistani hanno mangiato la foglia e ricalcano con Bruxelles lo stesso ruolo già esercitato dalla Turchia di Erdogan: portare a casa il risultato diplomatico e andare all’incasso.
Il Pakistan ha dunque un ruolo decisivo, oggi così come in passato. Facendo anche il doppio gioco: i servizi pakistani collaborano con la Cia sin dai tempi della lotta dei mujaheddin contro l’Urss, ma hanno anche dato sostegno a talebani e gruppi integralisti che operavano contro le forze americane e Nato. “Gli afghani hanno rotto le catene della schiavitù”, ha dichiarato il primo ministro Imran Khan quando i talebani hanno conquistato Kabul. Una dichiarazione che già da sola dice tutto.