Dopo settimane di scontro frontale tra i due aspiranti-cancellieri i democristiani tedeschi hanno sciolto il nodo sulla candidatura per le elezioni federali del 26 settembre. Lo Spitzenkandidat di Cdu e Csu sarà Armin Laschet, premier del Nordreno-Vestfalia e attuale segretario del partito cristiano-democratico. Ieri la conferma del comitato esecutivo Cdu che lo ha nominato dopo la conta delle schede finita con 31 voti a favore di Laschet e solo 9 per lo sfidante Markus Söder, governatore della Baviera e leader della Csu.

Nonostante il risultato non sia vincolante la partita per la successione ad Angela Merkel si chiude qui: Söder ha abbandonato ufficialmente la sfida comunicando il suo passo indietro in conferenza stampa. «Il dado è tratto: Laschet è il candidato dell’Union. Rispettiamo la scelta della Cdu, lo sosterremo senza rancore e con tutte le nostre forze. Su questo ho dato la mia parola d’onore» è la dichiarazione del capo dei cristiano-sociali, attesa non da ultima dalla cancelliera Merkel: fino a ieri non aveva proferito parola sul confronto che ha rischiato di fare implodere l’Union, prima di incoronare il vincitore: «Caro Armin, congratulazioni per il tuo nuovo compito. Attendo con ansia i prossimi mesi per cooperare insieme» si legge nel tweet postato dal portavoce, Steffen Seibert.

RESTA DA CAPIRE, tuttavia, se c’è e qual è il prezzo politico per la retromarcia di Söder. Laschet smentisce qualunque forma di accordo sottobanco con l’ex rivale ma è impossibile non considerare la posizione di forza dello sfidante: se l’Union vincerà le elezioni sarà anche grazie al premier di Monaco che non ha messo i bastoni tra le ruote di Laschet; se invece i democristiani andranno incontro alla sconfitta, la responsabilità sarà del segretario Cdu che non ha ceduto il posto al recordman di consensi nei sondaggi. Una condizione già “win-win”, senza contare la partita dei ministeri che comunque spetteranno alla Csu in base ai voti.

Eppure è altrettanto evidente che Laschet ha giocato al meglio il suo match, con l’arma che gli alleati e gli avversari unanimemente gli riconoscono: instancabile mediatore (scuola Merkel), non si è fatto mettere all’angolo da Söder respingendo con forza il referendum tra gli iscritti che avrebbe sicuramente perso. Naturalmente, il dibattito non è stato «intenso, trasparente e aperto» come lo ha decritto ieri Laschet ma un corpo a corpo con poche esclusioni di colpi, e l’Union non si è propriamente dimostrata «l’ancora di stabilità della Germania» visti gli effetti della sfida sui sondaggi impietosi.

IN OGNI CASO, la campagna elettorale dell’Union può finalmente cominciare. Il primo messaggio del candidato-cancelliere è rivolto al binomio coronavirus ed europeismo, rigorosamente sul solco scavato da Merkel: «La Germania non è forte se non lo è l’Europa. Solo a livello europeo possiamo rispondere alla pandemia. Credo fermamente nelle soluzioni multilaterali». Missiva rivolta agli euroscettici ma anche ultima stoccata a Söder, pronto a ordinare 2,5 milioni di dosi di vaccino Sputnik da utilizzare in Baviera se e quando l’Ema approverà la somministrazione.

Tuttavia, la critica di Laschet lascia il tempo che trova: da governatore ha avuto non poche difficoltà con i meccanismi del federalismo tedesco, ben più semplice di quello di Bruxelles.

Colpa del Covid-19 sulla cui gestione i Land a guida democristiana non hanno mai trovato l’unità ma anche della politica del ministro della Sanità, Jens Spahn, che ha fatto “ballare” l’intera Europa con lo stop ad AstraZeneca.

MA PIÙ CHE ALLE PROMESSE elettorali o al carisma personale il successo di Laschet è appeso alla campagna vaccinazioni che Merkel ha assicurato di volere concludere entro la fine dell’estate, ovvero prima dell’apertura delle urne federali.

A ieri erano 16.795.784 i tedeschi che hanno ricevuto la prima dose di vaccino (20,2% della popolazione) e 5.582.592 quelli che hanno completato l’intero ciclo di immunizzazione (6,7%), ma a preoccupare l’Union non è il flebile ritmo delle vaccinazioni bensì la spaventosa tabella dei letti nei reparti di terapia intensiva: a Brema solo il 6,3% dei posti ieri risultava libero, a Berlino l’8,9%, mentre affonda perfino l’eccellente Baviera di Söder dove sono appena l’11,5%.