Il vescovo ha il «dovere morale», ma non «l’obbligo giuridico», di denunciare alla magistratura i preti pedofili. Nelle «Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici», approvate dalla Cei a gennaio, vidimate dal Vaticano e rese pubbliche ieri, trova conferma quanto già era noto: i vescovi italiani hanno preferito non mettere nero su bianco l’obbligo di informare l’autorità civile sui casi di violenza o abuso sessuale sui minori commessi dai preti. Ovviamente nulla vieta che possano farlo. Tuttavia non c’è «obbligo». Sostituito da un «dovere morale», forse dall’alto valore etico, ma sicuramente meno stringente e vincolante.

Le Linee guida stabiliscono come i vescovi debbano procedere. Nel momento in cui abbiano notizia «di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori ad opera di chierici» appartenenti alla loro diocesi, dovranno avviare un’indagine interna per verificare la veridicità delle notizie. Se risultassero fondate, si andrà avanti fino all’eventuale processo canonico. Il presunto colpevole dovrà essere informato dell’indagine perché possa difendersi. E frattanto dovrà essere ’isolato’: «Il semplice trasferimento del chierico risulta generalmente inadeguato, ove non comporti una sostanziale modifica del tipo di incarico», si precisa.

Il prete riconosciuto colpevole potrà subire due tipi di condanne: «Misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori»; nei casi più gravi, la «dimissione dallo stato clericale». In circostanze di particolare gravità, la diocesi potrà trasferire il procedimento in Vaticano, affidandolo alla Congregazione per la Dottrina della Fede. La stessa Congregazione potrà decidere se avocare a sé una causa, fino al giudizio finale.

La «cooperazione del vescovo con le autorità civili» è «importante», ma non necessaria. Anzi le Linee guida precisano che «i vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero», come da accordi concordatari. «Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro». «Nell’ordinamento italiano – si puntualizza – il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico, salvo il dovere morale di contribuire al bene comune, di denunciare all’autorità giudiziaria statuale» i preti pedofili. I panni sporchi, se si lavano, si lavano in famiglia.

«Il vescovo non è tenuto, in base alla legge italiana, a deferire il prete accusato all’autorità giudiziaria. Lo sapevamo già. Ma le Linee guida avrebbero potuto stabilire unilateralmente un impegno vincolante», commenta il portavoce di Noi Siamo Chiesa, Vittorio Bellavite. «Il testo inoltre non prevede l’istituzione di un’autorità indipendente che sia il primo punto di riferimento per le vittime, come avvenuto invece in tante altre Conferenze episcopali. Quindi tutto come prima. Sorde e cieche sono le guide dei nostri vescovi. Sorde perché, chiuse nella difesa della casta, non hanno ascoltato nessuno dei tanti, vittime e altri, che hanno cercato di interloquire. Cieche perché non vogliono vedere».