Dal prossimo due settembre le famiglie in povertà assoluta (con Isee non superiore ai 3 mila euro) potranno (ri)presentare domanda per ottenere il «Sostegno per l’inclusione attiva» (Sia). I nuclei che ne avranno diritto percepiranno 320 euro (80 euro per componente). Il sostegno può arrivare fino a 400 euro nei casi di famiglie numerose fino a 5 componenti.

Il governo intende raggiungere con questa misura tra 800 mila e un milione di persone, pari a 180-220 mila famiglie. Il decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 luglio ha stabilito l’estensione su tutto il territorio nazionale del «Sia», un sussidio di ultima istanza contro l’indigenza che contiene stringenti criteri di selettività e condizionalità ed è vincolato all’obbligo di impegnarsi nella ricerca di un lavoro da parte del capofamiglia, a quello della frequenza scolastica dei figli e alla loro vaccinazione. Per chi non li rispetterà sono previste penalità che vanno dalla decurtazione dell’assegno bimestrale erogato dall’Inps alla cessazione totale. Tra le condizioni inserite nel decreto c’è la residenza in Italia da almeno due anni, non percepire sussidi di disoccupazione, non possedere un’auto nuova, non disporre di redditi superiori ai 600 euro al mese. Le famiglie beneficiarie dovranno rispettare almeno una di queste condizioni: avere un figlio minore, un figlio disabile, una donna in stato di gravidanza.

Il«Sia» non è un reddito minimo garantito, né di base o «cittadinanza». Ispirato a una logica pauperistica non raggiungerà i 4,6 milioni di «poveri assoluti» e tanto meno gli 8,3 «poveri relativi» censiti dall’Istat. Il sostegno è stato inoltre concepito come uno strumento obbligatorio di inserimento al lavoro dei poverissimi che saranno controllati da «equipe multidisciplinari», dai servizi di orientamento al lavoro e dall’assistenza domiciliare dei comuni. L’obiettivo è costruire un «progetto personalizzato volto al superamento della povertà». Concetto che tradisce una certa enfasi da parte del legislatore, considerato lo stato inesistente delle «politiche attive» in Italia e l’assenza della tanto annunciata dal Jobs Act «Agenzia per le politiche attive del lavoro» (Anpal): un soggetto destinato a coordinare il «quasi mercato» neoliberista (pubblico e privato in concorrenza) dell’offerta e del reinserimento lavorativo. Un auspicio ottimistico considerati i dati sull’occupazione forniti ieri dall’Inps.

Tale struttura è lontana dal principio della «congruità» dell’offerta di lavoro e replica le istanze colpevolizzanti e non universalistiche di misure ormai diffuse. Va ricordato che il «Sia» è uno strumento inefficace adottato dal governo Letta, e già sperimentato sotto altra forma e dicitura dal primo governo Prodi in dodici città alla fine degli anni Novanta. L’«ambizione» di questo «Sia» rinnovato consiste nel rendere stabile un mix di «workfare» neoliberista e assistenzialismo su tutto il territorio nazionale. Dai 12 articoli del decreto si apprende inoltre che sarà erogato attraverso una «social card» di berlusconiana memoria, ora ribattezza «Carta Sia»: potrà essere usata come una carta di credito – il circuito di riferimento è «MasterCard» fanno sapere dal ministero del Lavoro – per pagare bollette o ottenere uno sconto del 5% in supermercati, negozi, farmacie convenzionate.

Il governo, e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, sostengono che il decreto sul «Sia» sia un passaggio verso l’introduzione del «Reddito di inclusione sociale» previsto nel Ddl delega approvato la settimana scorsa. una misura ponte per affrontare subito l’emergenza nel 2016 (stanziamento 750 milioni di euro), in attesa della definizione, attraverso la legge delega, della misura nazionale nel 2017. Nella legge di stabilità del 2016 sono stati stanziati 600 milioni di euro per il 2016 e 1 miliardo per il 2017. Per una misura simile, il «Revenu de solidarité», la Francia spende 10 miliardi all’anno. Il paragone rende bene l’inefficacia del «Sia».