Ci sono tre condizioni necessarie che possono fare sperare in una direzione diversa e soprattutto in un percorso alternativo alla sottovalutazione oggettiva che priva il prodotto agricolo e chi lo produce di dignità e valore.

LA PRIMA E’ LA CONSAPEVOLEZZA di una enorme e strumentale bugia. Quella reclamizzata da molti distributori agroalimentari, riguardo alla «qualità migliore al prezzo più basso». Siamo invece convinti che può esserci una grande qualità solo se c’è un prezzo giusto, non il più basso. Se questo non è, vuol dire che non ha ripagato il lavoro o la fertilità della terra consumata e non ricostituita o che non ha retribuito qualcuno della spesso lunga filiera che consente al cibo di arrivare sulle nostre tavole.

COME RIPORTANO LE MIGLIORI INDAGINI sul fenomeno, a partire dall’osservatorio Placido Rizzotto, sono circa 450 mila persone, uomini e donne, italiani e immigrati, che ogni anno in Italia vengono sfruttati nel settore agricolo al punto da fare emergere la sistematica violazione dei diritti umani e del lavoro. Dentro questo business, che secondo Eurispes sviluppa circa 24,5 miliardi di euro annui, si trovano mafie, caporali, padroni, trafficanti e speculatori vari.

LA SECONDA CONDIZIONE RIGUARDA la battaglia per riconoscere una giusta remunerazione al mondo dell’agricoltura, in un settore in cui quasi un terzo dei suoi operatori lavora senza contratto, che deve per forza coinvolgere quanti più possibile del mondo politico, sindacale, sociale, culturale, associativo, religioso in una trasversalità che diventi forza d’urto di cambiamento radicale: il cibo è il primo prodotto agroambientale vero, la sua produzione è nella terra che è il nostro pianeta da preservare e proteggere e le persone ed i loro corpi sono la sua destinazione.

PERCHE’ UN CARTOCCIO DI FRAGOLE FRESCHE deve costare due euro a Stoccolma e un cocomero in Italia invece 20 centesimo al kg? Quanto vengono sfruttati e distrutti esseri umani, vitalità dei terreni ed ambiente per costare così poco e perché il cibo deve costare sempre meno? Persistono le pratiche delle aste al massimo ribasso come anche politiche promozionali che riflettono strozzature e rendite di posizione nella filiera agricola italiana che è tempo di superare definitivamente.

SI DEVE INOLTRE RICORDARE CHE UN’ ORA di lavoro sulla sponda Nord del Mediterraneo – che è quella europea – è remunerata, di fatto, 3 euro, mentre un’ora nella sponda Sud, che è quella nordafricana, 50 centesimi. Per prodotti destinati al nord Europa. Persiste una corsa al ribasso del lavoro bracciantile che configura la continua umiliazione di milioni di donne e uomini e una profonda ingiustizia che arriva a violare i dettami fondamentali della Costituzione italiana ed europea. Davvero non può l’Europa continentale permettersi verdura e frutta e cereali e legumi fatti nella sostenibilità, legalità e rispettando la dignità umana e ambientale? Oppure gruppi di potere, potentati anche politici e una profonda complicità dei parlamenti europei non vogliono riformare un settore politicamente strategico ed economicamente miliardario?

LA TERZA CONDIZIONE RIGUARDA L’AZIONE e non lo storytelling, diretta ed incisiva, verso una giustizia agricola e sociale vera e definitiva. Una parte, per fortuna in crescita, del mondo agricolo e non solo ha deciso di attivarsi per prendere le distanze da pratiche diffuse in tutta Italia e Europa che violentano i diritti dei lavoratori, dell’ambiente e quelli del vivente tutto, manifestando chiaramente la propria volontà di contrasto alle agromafie e di costruzione di percorsi economici alternativi e costruttivi. Aumentano come numero, come capacità, come creatività e connettività queste imprese agricole e agroindustriali di piccola e media dimensione, che fanno coincidere valore del prodotto con quello del proprio territorio.

SI TRATTA DI UNA DELLE MIGLIORI RISPOSTE alle agromafie in tutte le loro forme e perversioni speculative. Un mix, quello in formazione, che si compone di agricoltura pulita e rispettosa degli habitat, di attenzione a consumare il meno possibile, di riguardo verso il paesaggio, di instaurare rapporti di lavoro di lunga durata rispettosi del diritto vigente e della dignità delle persone, come nelle relazioni, costruendo infine comunità e democrazia.

IL CORSO DELL’ASSOCIAZIONE Casa Comune Laudato si’ Laudato qui, fondata da Luigi Ciotti e che per il terzo anno porta il nome di Il cibo che cambia il mondo, si tiene quest’anno a Fondi, in provincia di Latina, dal 1 al 3 ottobre, in appoggio alla attività di Marco Omizzolo e dell’associazione Tempi Moderni, i quel Sud Pontino da decenni contaminato da mafie di varia origine capaci di condizionare attività politica, imprenditoriale e professionale. Tra queste attività rientra anche il settore agricolo, della grande distribuzione ortofrutticola e del commercio all’ingrosso.

DA MOLTI ANNI, ATTRAVERSO STUDI, inchieste, denunce circostanziate e un’intensa attività di comunicazione, l’associazione Tempi Moderni ha fatto emergere le gravi condizioni lavorative di molte migliaia di indiani Sikh, donne e uomini, che da decenni si sono stabiliti e sono impiegati nei campi di questa parte del Lazio. Obiettivo del corso è duplice: denunciare le durissime condizioni che in Europa e in Italia molti lavoratori e lavoratrici della terra devono accettare per poter ottenere un lavoro e un salario, e al contempo annunciare – ma anche promuovere ed organizzare – uno stile opposto e concreto che molte imprese promuovono di buona e giusta agricoltura e produzione di cibo.

A PARTIRE DAL MEDITERRANEO. Come luogo dove convivono insieme profonde ingiustizie ma al contempo eccezionali generosità e potenzialità. Di terre e di persone.