Non era mai successo che nel mezzo di un conflitto si svolgessero indagini e si minacciassero processi penali. È forse l’alba di una nuova cultura giuridica, a condizione che la giustizia penale non sia usata come mezzo di guerra. E si usino gli strumenti esistenti, quali la Corte penale internazionale.

Nell’aprile 2022, il Presidente Usa Joe Biden ha accusato Vladimir Putin di genocidio e ha minacciato di voler avviare un processo internazionale. Arriva oggi una più articolata posizione della Presidente Ursula von der Leyen, la quale ha segnalato la volontà della Commissione europea di istituire un Tribunale ad-hoc per il crimine di aggressione commesso dalla Russia. Eppure, sembra che i due intendano esautorare la Corte penale internazionale (Cpi). La von der Leyen ha addirittura menzionato possibilità alternative, quali l’istituzione di un nuovo tribunale ad hoc oppure ibrido. Entrambi le opzioni sono da scartare.

Mai nel corso di un conflitto si era data tanta importanza alla giustizia penale. In Ucraina, i soldati russi Vadim Shysimarin, Alexander Bobikin e Alexander Ivanov sono già stati condannati per crimini di guerra, anche se verosimilmente usciranno di prigione in uno scambio tra prigionieri. Non è mancata la risposta russa: nel maggio 2022, Denis Pushilin, il leader del territorio controllato dalla Russia nel Donetsk, ha dichiarato che intendeva istituire un Tribunale Norimberga 2.0, dove gli imputati sarebbero stati i “nazisti” del Battaglione Azov per i loro ripetuti attacchi alla popolazione civile del Donbass dal 2014 al 2022. Pushilin dichiarava addirittura che la Russia avrebbe istituito un Tribunale internazionale, anche se difficilmente sarebbero riusciti a trovare sodali per tale avventura, e evocava come precedenti i processi del 1943 contro prigionieri di guerra tedeschi e collaborazionisti ucraini (tutti terminati con l’impiccagione degli imputati).

La giustizia penale è così diventata la continuazione della guerra con le toghe? I tribunali sono utili solo se sono imparziali. Proprio per questo, è necessario che siano istituzioni terze a gestire le indagini e i processi. La Cpi, istituita solo nel 2002, in questa occasione è stata assai tempestiva. Si può lamentare che è stata latitante nel corso dei conflitti in Iraq, Libia, Palestina e tante altre parti del mondo. Ma è un progresso che in questa occasione, solo una settimana dopo l’inizio dell’invasione russa, abbia avviato indagini sui crimini di guerra. Appena le truppe ucraine hanno riguadagnato la città di Bucha, la Cpi ha spedito sul posto investigatori forensi avvalendosi anche di specialisti messi a disposizione da autorità nazionali (ad esempio, sia il governo olandese che quello lituano hanno fornito i propri esperti).

Anche se difficilmente la Cpi potrà processare Putin, è questa l’istituzione che si deve incaricare di svolgere le indagini e celebrare i processi. Istituire un nuovo Tribunale ad hoc, come quelli istituiti nel 1993 e 1994 per i crimini nella ex-Jugoslavia e il Rwanda, sarebbe un colossale passo indietro che riporterebbe la giustizia penale internazionale indietro di 30 anni, perché un nuovo Tribunale sarebbe meno autorevole e più facilmente influenzabile da scelte politiche. E poi, per quale ragione i Paesi europei, che si sono fatti faticosamente paladini dell’istituzione della Cpi, anche quando gli Stati uniti si sono tirati indietro, dovrebbero usare un altro strumento? Verrebbe ancora una volta meno quell’imparzialità indispensabile per dare autorevolezza ai processi e alle Corti che li celebrano.
Né sembra preferibile istituire una Corte ibrida (ossia composta da autorità nazionali e internazionali).

Come in tutte le guerre, i crimini li commettono entrambi i belligeranti. Per quanto ci sia una ovvia distinzione tra quelli commessi dall’aggredito (l’Ucraina) e dall’aggressore (la Russia), occorre che essi siano valutati da autorità indipendenti. La stessa Ucraina, ad esempio, ha aperto un’indagine per i fatti di Makiïvka, dove apparentemente alcuni soldati russi che si erano arresi sono stati uccisi da quelli ucraini.

Se Unione europea e Stati uniti intendono seriamente rafforzare la giustizia penale internazionale hanno ben altre possibilità di farlo. Prima di tutto, gli Stati uniti dovrebbero finalmente aderire alla Cpi, accettando non solo di processare i propri avversari, ma di poter finire, come tutti gli altri, sul banco degli imputati. Per inaugurare un nuovo corso, l’amministrazione Biden avrebbe dovuto garantire l’immunità a Julian Assange e Edward Snowden piuttosto che al principe saudita bin Salman Al Sa’ud, ritenuto da un Rapporto dell’Onu il mandante dell’assassinio del giornalista Khashoggi.

Mentre manca la volontà di arrivare ad un cessate-il-fuoco e al ritiro delle truppe russe dall’Ucraina, è quanto mai necessario rafforzare gli strumenti del diritto e della legalità. Il Tribunale dei popoli della Fondazione Basso ha una gloriosa tradizione nell’istituire processi quando nessuno aveva il coraggio di farlo. Potrebbe oggi tempestivamente individuare le responsabilità dei principali artefici della guerra, condizione necessaria per giungere ad un progetto di pace condiviso tra le società ucraina e russa.

* Co-autore di Delitto e castigo nella società globale, Castelvecchi.