Cala il sipario sulla tendopoli di Idomeni. Laddove era tramontato il sogno di un’Europa senza confini, all’alba di ieri per i 10mila profughi rimasti intrappolati al confine con la Macedonia si è spenta l’ultima speranza di poter proseguire il loro cammino. Si torna indietro, verso la zona industriale di Sindos e Xaloxori vicino Salonicco per ora, dove alcuni ex capannoni industriali sono stati affittati e adibiti a centri di smistamento prima di procedere con il trasferimento graduale nei campi ufficiali gestiti dal Ministero dell’Interno.

La capacità al momento è di 8mila posti, ci vorranno altri dieci giorni, dicono fonti governative.

Nessuna resistenza

Obiettivo primario: liberare la linea ferroviaria che collega la Grecia con il resto dell’Europa, bloccata da 66 giorni e ripristinata, verosimilmente, sabato prossimo. A tal fine, e in concomitanza con l’imminente avvio delle nuove procedure di pre-registrazione per la richiesta di asilo, già da un paio di settimane si era cominciato a persuadere i profughi affinché lasciassero volontariamente Idomeni.

Opera di convincimento intrapresa sia attraverso l’ausilio di traduttori e la messa a disposizione di un servizio di pullman diretti ai campi ufficiali, sia mediante la limitazione dell’accesso a solidali e volontari che portavano beni necessari.

Le operazioni di ieri sono iniziate di buon ora e sono andate avanti per tutta la giornata. Un’evacuazione vera e propria più che uno sgombero violento, come aveva anticipato appena due giorni prima il rappresentante del Governo greco sulla questione profughi, Giorgos Kyritsis.

E così è stato. Alle 6 del mattino in venti minuti si è materializzato al campo di Idomeni un numero consistente di mezzi dell’esercito, assieme ad almeno 400 Mat, le squadre anti-sommossa greche. Si è cominciato dalla prima parte del campo.

A mano a mano le forze dell’ordine hanno circondato gruppi di tende e ordinato a tutti di prendere le proprie cose e di salire sui pullman. Non vi è stata alcuna resistenza.
I metodi sono stati spicci, né violenti né accomodanti. In tenuta antisommossa, e con indosso le maschere anti-gas sebbene non ve ne sia stata necessità alcuna, la polizia non ha lasciato molte altre possibilità di scelta. Bisogna fare in fretta, vietato persino andare in bagno. Per tutta la giornata di ieri sull’autostrada verso Idomeni è stato un via vai continuo di pullman, molti dei quali, ironia della sorte, di proprietà della compagnia privata Crazy Holidays.

Ne sono giunti a decine, arrivati vuoti per poi uscire qualche ora dopo carichi di persone a bordo. Verso metà mattinata sono comparse anche le prime ruspe e qualche camion per portare via ciò che è rimasto dell’ex ultima frontiera europea: palate di terra, brandelli di tende, coperte, qualche masserizia e tutto ciò che è stato lasciato per la fretta.

Eccezion fatta per i giornalisti della televisione pubblica greca Ert, che hanno trasmesso le informazioni in tempo reale dai loro canale, è stato impossibile entrare sia agli altri media sia alle Ong e ai volontari presenti nel campo negli ultimi mesi.

L’uscita dell’autostrada è rimasta presidiata da un paio di macchine della polizia, dal cielo rumoreggiava un solo elicottero. La visibilità delle forze dell’ordine è stata piuttosto discreta a conferma dell’intenzione di mantenere un basso profilo, almeno esternamente. Nessun posto di blocco e giusto qualche pattuglia lungo tutto il percorso che da Salonicco conduce Idomeni.

Scarni di parole, gli agenti posti allo svincolo del campo hanno invitato chi sopraggiungeva a rimanere sul ciglio dell’autostrada. A circa un chilometro e mezzo di distanza dal luogo dell’evacuazione sono stati lasciati corrispondenti e telecamere, per lo più puntate verso il vuoto.

Si comunica via telefono

L’unico intrattenimento è stato offerto dai clown volontari di The Flying Seagull Project, rimasti fuori anch’essi, che hanno improvvisato performance proprio davanti ai poliziotti attoniti.

A chi cercava notizie non è rimasto altro che contare il numero dei pullman in entrata e in uscita e, di qui, azzardare una stima sui trasferimenti eseguiti.

A metà giornata se ne sono contati 32, per un totale di circa 1500 persone. Le uniche notizie sull’andamento dell’evacuazione sono giunte via telefono ai pochi autorizzati ammessi, per lo più personale sanitario di Medici Senza Frontiere e di qualche Ong, e da chi era rimasto dentro sin da ieri per il timore di non poter più rientrare.

A evacuazione in corso, sono sbucati dalla boscaglia due siriani, sfuggiti al controllo della polizia. Prima di mettersi alla ricerca di un taxi che li portasse a Policastro, distante appena una decina di chilometri, hanno riferito di modi bruschi ma non brutali durante l’operazione di sgombero.

Il destino di chi è rimasto

Da fuori ci si interrogava intanto sul destino di chi è rimasto, su dove vengono portate le persone trasferite e di quali procedure seguiranno. Volontari e operatori di alcune Ong si sono precipitati nella zona industriale di Salonicco per verificare di persona sull’esito dei trasferimenti, sebbene l’acceso sia stato limitato per ragioni di sicurezza anche alle organizzazioni accreditate.

La televisione greca confermava nel frattempo i siti di destinazione individuati e, contestualmente, di un iniziale smistamento per nazionalità.
«Siamo arrivati come supporto e testimonianza alle porte di Idomeni e, successivamente, nei capannoni industriali dove sono stati portati i profughi. Siamo riusciti a entrare solo in due degli ex magazzini adibiti a centro di smistamento, uno con capienza di 400 e l’altro di 1000 persone», riferisce Alessandro Verona, coordinatore medico per Intersos, tra le organizzazioni umanitarie italiane operative in alcuni campi della Macedonia centrale.

«Per quello che abbiamo potuto vedere, entrambi i siti erano preparati e organizzati ai trasferimenti. I campi sono dotati di servizi base e, almeno in uno, anche di una postazione per la ricarica dei cellulari, segno che l’evacuazione era stata organizzata e non improvvisata. Abbiamo riscontrato molta stanchezza ma, tutto sommato, un’atmosfera tranquilla. Certo, lo sgombero di Idomeni non è la soluzione, così come non lo sono i campi profughi che rischiano di cronicizzare un’emergenza alla quale va trovata una soluzione di carattere politico a livello europeo».