«Alle prossime elezioni gli spagnoli dovranno scegliere tra il Pp e Podemos». Ne è convinto Pablo Iglesias, segretario generale di Podemos, la formazione nata sulla scia degli indignados e diventata in meno di un anno il primo partito spagnolo. Così, almeno, dicono i sondaggi elaborati da Metroscopia e pubblicati dal País a inizio gennaio, secondo cui la Syriza spagnola (tra i due partiti c’è reciproco e aperto appoggio) raccoglierebbe il 28, 2% dei consensi, staccando il Psoe di 5 punti e i Popolari (Pp)- attuale partito di governo – di addirittura 8. Per i due (ex) partiti maggioritari, il tonfo rispetto alle ultime generali sarebbe rispettivamente di 5 e 24 punti (il Pp ottenne il 44, 6% nel 2011). Un vero e proprio requiem per il bipartitismo che ha segnato la storia politica della Spagna democratica e che ormai sembrerebbe sospinto nell’abisso dallo sgambetto di Podemos. Certo, a quasi un anno dalle urne, la fotografia restituita dalle cifre non può che essere sfuocata: eppure, la sensazione è che rappresenti con buona approssimazione una maggioranza sociale palpabile, effettivamente in sintonia con il partito di Iglesias, pronta a sfilare il prossimo 31 gennaio nella «marcha del cambio», un corteo convocato da Podemos che si annuncia moltitudinario.

D’altronde, in questa Spagna ancora frastornata dalla crisi, nauseata dagli scandali di corruzione che hanno trapunto il governo di Rajoy, la proposta di Podemos è più che allettante: una palingenesi politica, che promette di affrancare gli spagnoli dal giogo della troika e focalizzare l’attenzione sul welfare e sui diritti minacciati da anni di tagli: casa, educazione e salute, innanzitutto, da blindare possibilmente «con un processo costituente» (e pazienza, per ora, se il reddito minimo universale e il pensionamento ai 60 anni – due dei pilastri del programma economico, si sono scontrati con la realtà e sono stati rinviati a data da destinarsi). Il nuovo che avanza, insomma, a scapito sì dei patititi maggioritari, ma anche delle formazioni storiche di sinistra: soprattutto di Izquierda unida, da cui proviene buona parte della cupola di Podemos, che i sondaggi danno in brusca flessione. La domanda di cambiamento va dunque oltre la richiesta di una svolta a “sinistra”, nel senso tradizionale del termine.Si tratta di un fenomeno politico, sociologico e generazionale che Iglesias conosce e sa cavalcare abilmente: «Le definizioni ideologiche – ha dichiarato in un’intervista pubblicata domenica dal País – servono a poco nella situazione attuale. Dire che lo spazio politico può essere compreso con i termini “destra” e “sinistra” vuol dire giocare alle tre carte con l’elettorato».

La frecciata è forse per Pedro Sánchez, segretario del Psoe, che ha issato lo stendardo della sinistra contro il «populismo» di Podemos e il conservatorismo dei Popolari. Ultima scaramuccia di un attacco sempre più diretto al Psoe, finora al margine dell’offensiva di Podemos, perché considerato – nonostante i sondaggi lo diano come diretto inseguitore- l’ostacolo meno insidioso sulla via del governo: in effetti, al di là dei numeri, sembrerebbe davvero che, alle urne, la scelta sarà tra la continuità incarnata del Pp e la rottura promessa da Podemos. I socialisti, in crisi d’identità, appaiono come un’alternativa di compromesso, senza nerbo e senza punti fermi.

«Sánchez appare smarrito – ha attaccato sabato scorso Iglesias dal palco del meeting di Siviglia, in Andalusia (roccaforte socialista, che potrebbe andare alle elezioni anticipate per una recente incrinatura nell’alleanza Psoe-Izquierda unida che governa la regione). Non si sa – ha proseguito il leader di Podemos – se è a favore della riforma dell’articolo 135 della costituzione (che impone il pareggio di bilancio per stato e regioni, ndr); se sta con Syriza, con Nea Dimoktraia o con il Pasok. E anche su una possibile alleanza con il Pp, mi pare che non si sia pronunciato chiaramente (anche se in varie occasioni Sánchez ha escluso questa possibilità, ndr)». Fattibile, invece, una coalizione anti-Pp, Socialisti/Podemos? Uno spiraglio c’è: «se il Psoe fa un’inversione a “u”, riconosce che l’austerità è stata un errore e appoggia le nostre politiche sociali ed economiche, noi non avremmo nessun problema. Ma mi pare difficile».