Per un paese che non ha politica industriale da decenni, dover decidere nel giro di pochi giorni il futuro di giganti come ex Ilva, Autostrade, Alitalia, Open Fiber – tutte aziende che gestiscono beni una volta considerati comuni- dovrebbe far sudare freddo chiunque in Italia. La pandemia da Covid19 ha accelerato le crisi facendo però superare il tabù dell’intervento pubblico in economia.

LE PARTITE IN GIOCO SONO TANTE e scottanti dal punto di vista politico con incroci giuridici e giudiziari aggrovigliati. Partendo dalla cronaca, ieri il ministro Stefano Patuanelli alla camera ha annunciato «un piano strategico per la siderurgia» visto che «la produzione di acciaio in Italia a marzo è crollata del 40% contro il 6% mondiale» prospettando per la Ast di Terni in vendita l’interessamento italiano, oltre quello della sempreverde Marcegaglia, anche della più solida Arvedi. La scelta toccherà ai tedeschi di Thyssen che cercano di disfarsi di Terni da ormai6 anni. La storica acciaieria ancora tra i leader in Europa nell’inox è in utile dal 2016, ma la sua forza lavoro si è assottigliata a 2.350 addetti.

Sul fronte ex Ilva non si registrano novità. In pochi credono che Lucia Morselli il 5 giugno presenterà il «piano lungimirante» chiesto ieri dallo stesso Patuanelli. Ci sarà da trattare e a lungo con i sindacati già sul piede di guerra con il governo.

ANCORA PIÙ INTRICATA e similmente stretta nei tempi è la vicenda Autostrade per l’Italia. Le trattative tra Atlantia – la holding di maggioranza della famiglia Benetton – e il ministero dell’Economia si sono fermate: anche il ministro Gualtieri ha postulato un accordo alla decisione sulla revoca della concessione con il dossier preparato dalla ministra Paola De Micheli da settimane sul tavolo di Giuseppe Conte. Nel frattempo Atlantia è sull’orlo del baratro finanziario per il niet alla richiesta di prestito – invece concesso subito a Fca – ai sensi del decreto Liquidità. Come al solito a rischiare di pagare il prezzo più alto ci sono gli oltre 7mila dipendenti, veri dimenticati della partita politica.

ALLA POSSIBILITÀ CHE TUTTO PASSI ad Anas, ora si affianca quella dell’ingresso di F2i, fondo di gestione che mette insieme tutte le fondazioni bancarie, casse di previdenz a, fondi pensione e fondi sovrani con partecipazioni in ambiti diversi – energia, gas, aeroporti – anch’esso in trattative con il Mef. In quest’ottica il suo ingresso in Autostrade per far scendere Atlantia – e quindi i Benetton – sotto il 50 per cento e in qualche modo «nasconderli» dalla prima fila che li legherebbe per sempre alla tragedia del ponte Morandi.

DAL PUNTO DI VISTA INDUSTRIALE sta meglio Alitalia. Il terremoto nel settore aereo ha fatto crollare ogni certezza portando i campioni del liberismo ad accettare senza battere ciglio il salvataggio di AirFrance e Lufthansa da parte dei governi di Parigi e Berlino. La differenza principale dal lato pratico è che i 3 miliardi per la nuova Alitalia previsti dal decreto Rilancio sono sotto forma di capitale – equity, come va di moda dire oggi – e non di prestiti.

La nuova Alitalia nazionalizzata riparte dal commissario Leogrande che ha dovuto mettere da parte la procedura di vendita. Il governo orà dovrà decidere se appoggiare la sua idea di scorporare le attività di volo (e manutenzione) e lasciare l’handing nella vecchia società commissariata, oppure ascoltare i sindacati che chiedono di mantenere l’integrità di Alitalia.

Tutti i discorsi sul nuovo interventismo statale si scontra subito su chi sarà scelto dallo stato per pilotare le nuove società. Se in Arcelor Mittal e Atlantia il privato dovrebbe rimanere in maggioranza, in Alitalia sarà il governo a poter scegliere il manager più capace. La partita vede il M5s appoggiare l’attuale direttore generale Giancarlo Zeni, chiamato da Leogrande con cui ha già lavorato a Blue Panorama, mentre ai renziani è venuta un’idea meravigliosa: riproporre Flavio Cattaneo, già transitato senza successo da Telecom e ora triste a Italo, finita in mani americane.

SE NE PARLA POCO ma un’altra partita decisiva di politica industriale si sta per giocare anche su Open Fiber. La società che dovrebbe garantire la banda larga e che oggi è divisa fra Enel e Cassa depositi e prestiti. Con ben 12 milioni di italiani che durante il lockdown non avevano neanche la vecchia connessione Adsl, il governo ha la priorità di entrare in partita. La mossa più semplice è un aumento di quota capitale di Cdp in Telecom con ingresso delle stessa in Open Fiber.