Intervistare il regista Rob Savage è un’esperienza da brividi. È simpatico, aperto e ha appena 28 anni, ma stiamo parlando su Zoom e dietro di lui vedo la figura di Freddy Krueger di Nightmare, a grandezza naturale. «Non preoccuparti se ogni tanto si sposta» mi dice Rob in maniera poco rassicurante. Anche senza quest’immagine di Freddy avrei avuto un po’ di timore. Infatti, ho appena guardato il nuovo film di Rob, Host, ambientato interamente durante una chiamata Zoom nella quale sei amici fanno una seduta spiritica che inizialmente è divertente e scherzosa, ma diventa pian piano terrificante.

L’idea gli è venuta durante le prime settimane del Lockdown britannico. In aprile, annoiato, Rob ha fatto un scherzo durante una chiamata Zoom. Ha detto a suoi amici che sentiva dei rumori arrivare dalla soffitta. Con un trucco, ha usato una clip tratta dal film spagnolo Rec per convincere i suoi amici che c’era un demone in casa. Quando il filmato di questo trucco e delle reazioni degli amici sono stati pubblicati su Twitter, il video è diventato virale e Rob ha cominciato a pensare ad un lungometraggio. «All’inizio del Covid tutti si chiedevano chi sarebbe stato il primo a girare un film utilizzando Zoom, ma poi nessuno lo ha fatto» mi racconta Rob. «Allora, ho detto, ci penso io.»

Rob ha chiamato gli amici oggetto di quello scherzo – per fortuna quasi tutti attori – e ha chiesto loro se volevano partecipare. Non si è trattato solo di recitare però; tutto il cast ha dovuto filmare, truccarsi, illuminare la scena e fare gli stunt e gli effetti speciali che per la maggior parte sono stati fatti in vecchio stile e non con il computer. La trama viene dalla ricerca fatta per un progetto di qualche anno fa sulle sedute spiritiche e in preparazione al film ne hanno fatto una vera con la troupe. «Nella stanza della nostra attrice Jemma Moore è caduto un libro e questo l’ha spaventata parecchio. Abbiamo usato la sua reazione per il film. Non è stato per nulla un processo normale».

Anche fare il regista da lontano è stata una sfida: «Io ho partecipato alle chiamate Zoom ma di nascosto e se qualcosa non andava, chiedevo di riattivare il microfono e di ricominciare o provare qualcosa di nuovo. Ho girato su due piedi, improvvisando, filmando scene che duravano tanto e provando poi ad eliminare ciò che non era essenziale».

Ormai i film horror di found footage sono abbastanza comuni. Da Blair Witch Project a Paranormal Activity, i film non provocano sempre soltanto un effetto di claustrofobia ma commentano anche la tecnologia che è in continua evoluzione. Più recentemente abbiamo avuto Unfriended (2015) e Searching (2018) ambientati interamente sugli schermi dei computer e Smartphone. Rob mi dice di rendersi conto dei limiti di questo genere. «In generale, mi piacciono i film di found footage anche se capisco che per molti il termine è diventato una parolaccia. Anch’io ha qualche cliché che mi dà fastidio, e per questo ho delle regole scritte su un muro di casa per non usare fake glitches (finti difetti). Tanto sembrano sempre finti, in particolare quando lo si fa nei film costosi. Un’altra regola era quella di non lasciare cadere le telecamere casualmente ma proprio dove serve. Devo dire però che questa regola l’ho infranta un sacco di volte».

Host ha un vantaggio su altri film di found footage. È molto credibile e attuale: «Questo film è veramente del mondo di oggi. Stiamo tutti comunicando attraverso questi mezzi come Zoom e c’è una certa intensità che appartiene a questa piattaforma».

Poiché quasi tutti abbiamo utilizzato Zoom, chi per lavoro, chi per stare un po’ con la famiglia o gli amici, molto di Host ci risulterà familiare. Con tanto umorismo e tanta intelligenza il film ne utilizza gli sfondi e i limiti di tempo; c’è perfino un bastone per i selfie. Zoom ha dato a Rob il permesso di usare la grafica e la piattaforma e lo ha anche aiutato ad aumentare la qualità dell’immagine. A parte alcuni dettagli tecnici il film riesce a raccontare l’intimità forzata dell’amicizia ai tempi del Covid-19 in modo spiritoso. Il modo in cui il fidanzato escluso dal gruppo si vede nel retroscena; la trasformazione delle camere da letto e delle cucine in luoghi pubblici; la tensione tra gli amici, che possono parlare solo davanti al gruppo.

La settimana in cui Host è stato completato è uscita anche la notizia che Rob sta per fare un altro film prodotto dal mitico Sam Raimi. «Abbiamo lavorato sul film con Sam per una grande parte dell’anno e abbiamo una sceneggiatura stupenda. È ambientato diciamo nello stesso spazio supernaturale. C’è sicuramente un incrocio tra i due film. È bellissimo avere questa occasione di lavorare con Sam. Lui è un mio eroe. La Casa 2 è stato il primo film a darmi l’ispirazione di diventare regista. Il lavoro del regista era così evidente nel film. È un film in cui si vede proprio la personalità del regista. Ci sono anche altri progetti in programma che possiamo annunciare nelle prossime settimane».

Uscendo dal lockdown, il mondo è cambiato e chiedo a Rob se lui ha imparato qualcosa dall’esperienza: «Forse sembra troppo sdolcinato ma ho imparato l’importanza della collaborazione. Il mio compito come regista è di definire il film: dire quello che è e quello che non è. Ci sono tante buone idee, ma ogni tanto devo dire che questa è una bellissima idea ma per un altro film. Lavoro da dieci anni nel cinema (ha fatto il suo primo cortometraggio a 17 anni, premiato al festival di Roma ndr) e quando ho iniziato ero molto focalizzato su come dovevano essere le mie idee, la mia visione. Dev’essere «un film di Rob Savage», ma adesso non mi interessano più quelle stronzate. Questo film mi ha insegnato a dire cosa significa un film ma rimango aperto alle idee degli altri».

Abbiamo quasi finito. l nostri quarantacinque minuti di Zoom sono quasi esauriti. Ma prima mi avvicino allo schermo: «Ma Rob, Freddie Krueger si sta muovendo per davvero!» Rob ha un’espressione impaurita e la linea cade.