Nuovo giro di consultazioni stamattina, prima che il presidente della Camera Fico riferisca al capo dello Stato. E’ stato proprio Fico a convocare le delegazioni dei due partiti in predicato d’alleanza, alle 11 il Pd, alle 13 M5S. I due colloqui non possono sbloccare la situazione, di fatto congelata sino alla riunione della direzione Pd fissata per il 2 maggio. Eppure gli incontri di oggi potrebbero rivelarsi importanti quanto e più di quelli di martedì.

E’ PROBABILE CHE FICO e Mattarella vogliano capire se le aperture del reggente Martina impegnano il partito o se sono destinate a infrangersi in partenza contro il muro di Renzi. E’ una delle tante follie di questa crisi: il leader da cui dipende più che da ogni altro la scelta del Pd non ha ruolo formale, non può essere consultato, non entra direttamente in campo. Imbarcarsi in un’altra pantomima come quella che è stata messa in scena per settimane da Lega e M5S non comporterebbe solo l’ennesimo colpo mancato. Renderebbe molto più difficile il compito di Mattarella, nell’eventuale prosieguo della crisi, per evitare quelle elezioni a ottobre che lo stesso Martina ha definito ieri «non poco probabili». Ovvio che né il presidente né l’esploratore vogliano imbarcarsi nell’impresa senza essere certi che ci sia almeno una possibilità di successo. Anche se difficilmente Martina potrà dire qualcosa di impegnativo.

Non è escluso che in questo secondo giro «d’approfondimento» venga messo sul tavolo anche lo scoglio di palazzo Chigi. Proprio il precedente Lega-M5S ha dimostrato infatti che la tendenza, naturale per i politici, a posporre la soluzione dei nodi principali nella speranza che si allentino da soli in questa crisi può rivelarsi esiziale. E’ stato così con l’ingombrante presenza di Berlusconi nelle settimane scorse. Potrebbe esserlo ancora, sul nuovo tavolo, con la presidenza Di Maio. Renzi non accetterà mai di consegnare a lui le chiavi di palazzo Chigi, e in realtà punta a evitare un premier a 5 stelle. Almeno su Di Maio, peraltro, anche le aree del Pd che scoppiano dalla voglia di chiudere l’accordo la pensano come l’ex segretario. Ma anche senza contare la scarsa propensione del candidato a farsi da parte, la missione potrebbe rivelarsi impossibile. Nei ranghi di M5S l’alleanza con il partito combattuto per 5 anni strenuamente non è affatto facilmente digeribile. Senza la garanzia rappresentata dalla conferma del candidato del Movimento potrebbe non esserlo affatto.

LA TEMPESTA CHE SCUOTE il Pd lambisce anche Leu, che pure non è ancora entrata in partita. E’ però certo che, ove la tela tessuta da Fico resistesse agli strappi, anche Leu potrebbe trovarsi a dover scegliere e l’ex presidente della Camera Laura Boldrini ha già esplicitato il suo no: «Personalmente non sono favorevole, il che non vuol dire uscire dal partito».

Dopo aver ascoltato il rapporto di Fico, molto probabilmente Mattarella rinvierà il passo successivo sino al 3 maggio, quando la posizione del Pd sarà definita. Se la strada sembrerà aperta, dovrà decidere se dare finalmente un incarico politico oppure affidare a Fico il compito di gestire la faccenda ancora in veste di esploratore. Se invece anche quel percorso si dimostrerà impraticabile la decisione del presidente sarà molto più difficile.
Il centrodestra chiederà di ripartire da zero, con un incarico a Salvini. «Troveremo i voti per diventare maggioranza», promette Berlusconi. Il capo leghista, poi, non considera affatto chiusa la trattativa con M5S, ed è opinione comune che neppure Di Maio, nonostante gli impegni solenni, dia davvero per tramontata senza appello l’ipotesi di una maggioranza con il Carroccio.

SI SPIEGA COSÌ IL NUOVO battibecco di ieri tra Berlusconi e Salvini. Ad attaccare è stato di nuovo il leader azzurro, con una battuta decisamente sopra le righe contro i 5S: «Ho chiesto a delle persone come si sentono di fronte a questa formazione che non si può certo dire democratica. Hanno risposto che si sentono come gli ebrei al primo apparire di Hitler». La replica del leghista è immediata: «Meglio tacere invece di dire sciocchezze». Formula identica a quella adoperata da Berlusconi dopo le sparate putiniane dell’alleato. Berlusconi a questo punto frena: «Quella frase l’ho solo riferita. Il mio discorso è il contrario, è di pacificazione». La pezza però non basta a nascondere un dissenso sui 5S che potrebbe riesplodere se il gioco dell’oca ripartirà sul versante destro del cartellone.