Domani pomeriggio a San Pietro papa Francesco consacrerà la Russia e l’Ucraina al Cuore immacolato di Maria affinché «cessi la guerra». Le devozioni religiose per i credenti sono atti di fede. Ma nella storia sono stati anche strumenti politici, spesso utilizzati dalle destre nazionaliste e populiste, in chiave identitaria e anticomunista. Ne parliamo con Daniele Menozzi, professore emerito di storia contemporanea alla Normale di Pisa, autore di un recente volume che ricostruisce e analizza la politicizzazione di alcuni tra i culti più diffusi tra ‘800 e ‘900 (Il potere delle devozioni. Pietà popolare e uso politico dei culti in età contemporanea, Carocci, pp. 236, euro 24).

Professor Menozzi, qual è il senso del rito di domani?
Fin dall’invasione russa del Donbass, la Chiesa cattolica ucraina aveva chiesto a Roma la consacrazione per impetrare sul Paese la protezione celeste. La decisione papale di consacrare sia la Russia che l’Ucraina caratterizza diversamente l’atto religioso: si tratta di ottenere la cessazione del conflitto. Pregare e far pregare per la pace è un aspetto della linea di Bergoglio su questa guerra. E anche un atto politico.

La scelta di consacrare non solo l’Ucraina ma anche la Russia evidenzia equidistanza o volontà di non fornire legittimazione religiosa alla guerra?
Dopo le prudenze diplomatiche dei primi giorni, Francesco è stato netto nel dichiarare che non esistono guerre giuste. Nel suo discorso pubblico non c’è alcuna legittimazione religiosa della guerra. La sua linea è altra: denuncia degli effetti catastrofici del conflitto, attivazione dei canali diplomatici per il negoziato, promozione dell’assistenza umanitaria, sollecitazione alla preghiera per la pace.

Le Chiese russe e ucraine si muovono in questa stessa direzione?
Il patriarcato di Mosca ha assunto una posizione che rievoca la proclamazione della guerra santa, nella fattispecie diretta contro una modernità occidentale, le cui libertà ritiene antitetiche alla legge divina e naturale. Le chiese ucraine – sia quelle ortodosse fedeli a Mosca che quella riconosciuta da Costantinopoli, sia la chiesa cattolica di rito greco e latino – si sono schierate per la guerra giusta, fornendo una legittimazione religiosa alla difesa dell’integrità dello Stato nazionale. Sono atteggiamenti che, storicamente, hanno intrecciato cristianesimo e pulsioni nazionalistiche.

Il papa è «timido» sulla condanna di Putin?
Il papa non può non preoccuparsi dell’unità di un mondo cattolico diviso sull’atteggiamento da tenere verso la guerra. Inoltre, dato lo scontro interno all’ortodossia tra Mosca e Costantinopoli, solo Roma è oggi in grado di mantenere vivo l’ecumenismo tra cristiani. Gli interventi pubblici di Bergoglio costituiscono la forma retorica con cui il papa oggi può arrivare a esprimere una condanna della guerra senza provocare rotture tra cattolici, evitare l’approfondimento dei contrasti tra cristiani e mantenere aperto un dialogo diplomatico con il Cremlino. Il problema vero è la coerenza con il Vangelo di un atteggiamento pur sempre dettato da ragioni politiche.

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La consacrazione al Cuore immacolato di Maria degli Stati non è un atto anacronistico?
Tradizionalmente è legata al progetto del cattolicesimo intransigente di confessionalizzare gli ordinamenti pubblici: rappresentava la rivalsa cattolica rispetto ai processi di laicizzazione delle istituzioni politiche in età liberale. Francesco ha più volte proclamato che la stagione in cui la Chiesa perseguiva un ritorno al regime di cristianità è tramontata. La gestione della cerimonia – rito, discorsi, gesti – sarà una cartina di tornasole per verificarlo.

Nella storia qual è stato il senso di questo tipo di consacrazione?
La consacrazione al Cuore Immacolato di Maria ha assunto nel tempo molteplici significati, legandosi via via al nazional-cattolicesimo salazarista, all’anticomunismo, al tradizionalismo anti-conciliare, al sovranismo nazional-identitario. Ai suoi albori però rappresentava una forma di pietà per invocare la fine della grande guerra. Francesco sembra riattualizzare il suo senso iniziale.

C’è un «filo rosso» che ha accomunato l’uso politico di tutte le devozioni?
Direi il sostegno al mito di una societas christiana prospera e felice perché immune dalle libertà soggettive portate dalla modernità. Oggi vengono riproposte cancellando la memoria di questa vicenda. Ma è lecito chiedersi se una ripresa priva di consapevolezza storica non sia inevitabilmente destinata a riesumare proprio quel passato. È assai problematica una riattivazione che le orienti a nuove finalità, senza purificarle dalle scorie che recano con sé.