Nel non senso della politica italiana e particolarmente romana, la domanda pubblica posta da Asor Rosa appare quantomeno (ma non soltanto) salutare: si può scrivere e pubblicare un articolo non per sostenere scelte politiche e suggerire comportamenti ma solo per esprimere disagio e sofferenza? La domanda è così pertinente (dati i tempi) che forse accanto ai noti candidati sindaci: Meloni, Giachetti, Marchini, Raggi, e Fassina (che merita un discorso a parte come tenterò di dire oltre), nei talk show nostrani ne dovrebbe comparire un sesto il quale, appunto, dovrebbe rappresentare la domanda di Asor Rosa.

La tanto gloriosa Roma appare, come recita il libro di De Lucia ed Erbani, non più una città tanto il degrado fisico, urbanistico, morale, sociale e politico si è aggravato. Quasi ci sarebbe da chiedersi perché ci ostiniamo a vivere in questa città nonostante sia ormai quasi impossibile attraversarla da una parte all’altra senza affrontare i rischi, le sofferenze e i disagi di un avventuroso viaggio in un qualche paese straniero sconsigliato ai turisti. E non c’è nemmeno più il bisogno di dimostrare questa impressione tanto essa è diventata luogo comune, sensazione diffusa e generale (basta aspettare il bus in un giorno di festa o in un qualsiasi giorno di sera, che non arriverà).

A sentire i candidati sindaci, risolvere i problemi citati e arcinoti è semplicissimo: basta fare questo o quello e voilà i problemi spariscono, senza che nessuno di essi riesca però a spiegare perché fino ad oggi non si sono fatte queste o quelle cose (buche docet). Insomma manca un progetto (nel senso nobile del termine) per questa città e un candidato che comunque possa esprimerlo e tanto più realizzarlo.
Detto questo concordo totalmente con Asor Rosa e con Bevilacqua che la lista Fassina rappresenta un punto di partenza importante, anzi di più: una occasione che può rivelarsi fondamentale per il futuro prossimo della città se solo le istanze e le forze che essa rappresenta (la sinistra che rimane, o, se volete, l’unica che possa chiamarsi tale) non si dissolveranno a campagna elettorale conclusa (esperienza avvenuta troppe volte).

E qui mi permetto di dissentire con le conclusioni di Asor Rosa perché ho l’impressione che la eventuale vittoria finale del candidato dem possa liquefare rapidamente quel coagulo di forze popolari messo insieme da Fassina: è già accaduto con Rutelli e Veltroni, artefici del Piano Regolatore Generale e di quel nefasto Modello Roma (glorificato da Giachetti che propone di nuovo la politica dei Grandi Eventi) che sembrava annunciare il rinascimento urbano della Capitale; sinonimo di modernismo, innovazione, cambiamento.
Quel quindicennio (1993-2008) fu caratterizzato da una ingannevole assenza totale di ogni conflitto sociale. In altre parole sembra a me che Asor Rosa nutra quello stesso “giovanile ottimismo” che lui addebita (senza condividerlo) a Piero Bevilacqua. Perché Asor si chiede, in finale del suo articolo (come sempre lucidissimo, quasi didascalico): Roma che uno di questi candidati sindaci dovrebbe, prima che governare, conoscere.

E se tutto ricominciasse da qui? Ed è possibile ricominciare da qui, senza uno sforzo concorde e colossale di tutte le forze che siano disposte a farlo? La mia impressione è che, a sinistra, le lacerazioni siano ancora troppo forti (e purtroppo quasi sempre di natura personali) perché la coalizione Fassina possa sopravvivere a una eventuale vittoria del candidato dem senza esserne sussunta o ridotta a inutile alleanza. Mi si chiederà: e allora? E allora, io penso, bisognerebbe prendere l’abitudine (che un tempo esisteva) di lavorare insieme prima e oltre le scadenze elettorali (ce lo ripetiamo sempre ma mai lo facciamo), perché per risalire la china dalla quale siamo rotolati in tanti anni, ci vorrà tempo, pazienza e fatica, senza cedere alle lusinghe di qualche furba tattica (sport prediletto e praticato dalla cultura italiota) che sembra mostrarci ingannevoli scorciatoie (che in politica non esistono e comunque non pagano): tertium non datur.

Un esempio che forse farà sorridere: un tempo esisteva a Roma una Casa della Cultura a Largo Argentina, dove si discuteva insieme dei tanti problemi emergenti: si facevano analisi, si polemizzava, si affrontavano (insieme) problemi. Qualcosa di analogo è ancora possibile per dare cemento (mi si scusi la parola che a Roma mette i brividi) a questo coagulo di forze che ancora crede sia possibile un’altra Roma (e un’altra Politica)?