La crisi sarebbe superata, «è ora alle nostre spalle»: parola del presidente della Bce, Mario Draghi. All’ottimismo sulla situazione economica, ieri – parlando all’Università di Tel Aviv, insignito di un dottorato ad honorem – Draghi ha aggiunto un “entusiasmo” più politico: rinfrancato dall’esito delle elezioni in Francia, ha rilanciato l’integrazione europea, «ora che la maggioranza silenziosa ha ritrovato la sua voce, l’orgoglio e la fiducia in se stessa».

«La ripresa dell’Eurozona è solida e sempre più ampia fra i Paesi e settori – ha proseguito – con cinque milioni di impiegati in più rispetto al 2013». Il Pil dell’area euro – con l’eccezione della Grecia che è ripiombata nella recessione, e ricordando la faticosa ripresa dell’Italia – ha in effetti ripreso a crescere in modo costante, senza contare che l’inflazione ha toccato l’1,9%: vicinissima a quel 2% che il timoniere Bce si era dato come obiettivo del suo Qe. L’acquisto dei titoli – 60 miliardi al mese – è ancora attivo, ma visti i buoni risultati tornano in campo le pressioni (soprattutto tedesche) per accelerare una exit strategy.

Per ora il programma è confermato fino a fine anno, e Draghi è stato sempre netto: sarebbe stato pronto a prolungarlo fino a marzo 2018, e anche oltre, se le condizioni lo avessero richiesto. Ma adesso un primo punto si farà l’8 giugno a Tallinn, e c’è chi preme perché l’annuncio dello stop venga dato già a settembre. Ovviamente va fatto con cautela, per evitare improvvisi rialzi dei tassi sul mercato dei capitali, ma la direzione sembra quella visto che ieri ha detto la sua anche una «colomba» come Benoit Coeuré, consigliere esecutivo Bce, che ha avvertito del rischio di una «eccessiva gradualità» nel cominciare a ritirare il Qe.

Draghi comunque si «consola» con la politica: forte della vittoria di Macron in Francia e del voto in Olanda, con un voto pro-Europa praticamente assicurato in Germania e il ritorno dell’asse franco-tedesco (la principale incognita rimane l’Italia), è tornato a chiedere «riforme strutturali» ai Paesi dell’area euro. Per non sprecare la ripresa di fiducia nella Ue dimostrata dagli elettori, contro i populismi.