Il mandato di cattura spiccato contro di lui dalla magistratura ecuadoriana, e accompagnato dalla richiesta di estradizione dal Belgio, non ha colto di sorpresa l’ex presidente Rafael Correa. Obbligato a presentarsi in tribunale ogni 15 giorni a Bruxelles, dove risiede dal 2017, Correa si era già detto sicuro che con tale misura cautelare la giustizia intendesse approfittare della prima mancata apparizione davanti alla Corte per emettere un ordine di arresto.

L’ACCUSA di cui deve rispondere l’ex presidente è quella di aver orchestrato il sequestro (subito sventato dalla polizia colombiana) dell’ex deputato dell’opposizione Fernando Balda, rapito da quattro uomini e una donna – a quanto pare assoldati dai servizi di intelligence ecuadoriani – il 13 agosto del 2012 a Bogotá, dove Balda era fuggito in seguito all’accusa di attentare alla sicurezza interna dello Stato (dopo la sua denuncia su presunte azioni di spionaggio da parte del governo contro oppositori e giornalisti).

«Non potendo vincolarmi ad alcun caso di corruzione, cercano ora di coinvolgermi, senza alcuna prova, in un tentativo di sequestro di un delinquente in fuga dalla giustizia», ha commentato Correa, rassicurando i suoi simpatizzanti: «Uno Stato di diritto come il Belgio non si presterà mai a una tale aberrazione».

CHE L’OBIETTIVO della giustizia ecuadoriana sia quello di cancellare Correa dalla scena politica, ne sono più che convinti i sostenitori dell’ex presidente, che paragonano la sua vicenda a quella di Lula e di Cristina Kirchner, le più illustri vittime di quella giudiziarizzazione della politica che appare sempre più frequente in America Latina.

E in tutto il subcontinente sono in tanti, tra leader politici e dirigenti sociali, a far sentire la propria voce a favore del mashi («compagno» in quechua) Rafael. Diversa, ovviamente, la posizione degli avversari – di destra come di sinistra – i quali, ricordando come lo stesso ex presidente, quando era al potere, utilizzasse la giustizia per perseguire critici e oppositori, respingono ogni tentativo di farne una vittima del potere giudiziario.

A SINISTRA, PERÒ, LE CRITICHE a Correa sono accompagnate ormai da un generale disincanto, essendo definitivamente naufragata la speranza che l’involuzione conservatrice registrata dalla Rivoluzione Cittadina – tanto sul versante di una democratizzazione radicale dello Stato quanto su quello dell’applicazione dei principi più innovativi della Costituzione del 2008 – potesse lasciare il posto, sotto il governo del presidente Lenin Moreno, a un rilancio dello «spirito di Montecristi». «Moreno accelera la svolta neoliberista di Correa», ha scritto per esempio l’ex presidente dell’Assemblea Costituente Alberto Acosta.

E la conferma viene dalla ripresa di contatti con il Fmi e la Banca Mondiale, dall’apertura a negoziare un Trattato di libero commercio con gli Usa e da una politica di attrazione degli investimenti stranieri da cui trarranno vantaggio unicamente le transnazionali e i tradizionali gruppi di potere.