«Chongqing Calibro 9» potrebbe essere il titolo per una fiction tv capace di raccogliere tutti gli elementi più succulenti del procedimento contro Bo Xilai, conclusosi lunedì e ora in attesa della sentenza (prevista per inizio settembre). C’è tutto: Bo Xilai, il politico – in bilico tra uomo di potere e gangster – che si comporta come un capo mafia nel rivaleggiare contro i propri nemici, ma che sa gestire i media e i giornalisti, di cui si contorna per disegnare un proprio ruolo nella potenza economica cinese in piena corsa. È anche amato dal popolo, cui regala politiche sociali ed edilizia popolare. C’è lo sbirro, Wang Lijun, esperto di arti marziali, che racconta in giro di scontri a fuoco direttamente con i membri più temuti delle Triadi. Pare sia uno fissato con i vestiti eleganti e con la lettura dei libri. Sbirro tutto d’un pezzo, almeno apparentemente, perché in realtà è inquinato dall’amicizia – a delinquere – con il boss e sottoposto a ogni genere di ordini, anche i più macabri e che finisce per innamorarsi e dare luogo ad una tresca proprio con la moglie del capo. E lei, Gu Kailai, la femme fatale, capace di odiare il marito per le sue scappatelle, sfruttarne la notorietà e il potere per assicurare una vita di agi (e garantirla al figlio), finisce invece depressa, «mezza matta», come dirà il marito a processo e invischiata in avventure amorose che si riveleranno fatali. Una di queste relazioni è con l’uomo britannico – Neil Heywood, che secondo molti è un uomo dei servizi segreti di Sua Maestà, uno 007 un po’ sfigato a dire il vero – che l’aiuta a sistemare all’estero i conti e il figlio; ma la situazione sfugge ben presto di mano, tanto da dover ricorrere al proprio servo e al cianuro per toglierlo di mezzo. E chi potrebbe aiutarla a gestire al meglio questo omicidio? Wang Lijun, lo sbirro braccio destro del marito, da sempre innamorato di lei. Ma i tempi sono cambiati, Wang Lijun è entrato in depressione: quando dice a Bo Xilai di sospettare della moglie per l’omicidio di Heywood, Bo Xilai lo prende a pugni, tanto da fargli sanguinare un orecchio. Wang Lijun si guarda attorno: tutti quelli che hanno collaborato all’indagine sono spariti. E allora decide di sparire anche lui, ma di sua spontanea volontà. Cerca l’impossibile: un rifugio al consolato americano di Chengdu. Niente da fare: respinto, anzi prelevato dalla polizia di Pechino, mandata direttamente dall’alto, dai vertici del Partito. Già perché mentre Chongqing brucia di soldi, amori clandestini e cianuro nel sangue britannico, a Pechino tutto questo è una trama perfetta per eliminare politicamente Bo Xilai, troppo ambizioso e pericoloso per la «guida collettiva» pechinese.

Un disegno preciso, quello andato in onda al tribunale di Jinan, durante i giorni del processo a Bo Xilai; un plot che ha confermato tutte le voci, anche quelle più rosa, rispetto allo scandalo politico che ha sconvolto la Cina, come mai era successo negli ultimi trent’anni. Solo che in tutto il processo è mancato il vero mandante di tutto lo scandalo: il Partito Comunista cinese e la politica.

Si discuterà a lungo, anche dopo la sentenza, della «trasparenza» del procedimento contro Bo Xilai, a causa della disponibilità della corte a twittare, quasi, in diretta il processo. Dopo la chiusura del tribunale del Jinan, sul web cinese e sui media internazionali, tutti discutono se sia stato trasparente o meno il processo. La sensazione è che lo sia stato come ha voluto il Partito Comunista cinese. A Bo Xilai è stato consentito di difendersi, a condizione che lo facesse su elementi secondari: le relazioni sentimentali, l’omicidio dell’uomo inglese, le relazioni che intercorrevano tra lui, la moglie e Wang Lijun. Gli è stato consentito di usare parole forti, a confermare il proprio carisma e volontà di lottare: la moglie è «pazza», Wang «un abominevole bugiardo», uno che dice «stronzate», Bo ha negato tangenti e favori, ha solo ammesso di essere stato incauto e di non aver gestito bene la fuga dell’ex super poliziotto. Ma di Hu Jintao e Wen Jiabao, ex Presidente e premier e di Xi Jinping, attuale Presidente, che l’hanno voluto non solo estromesso dalla scena politica, ma anche sotto processo con il rischio di una condanna capitale, neanche una parola.

E allora, alla luce di questo processo, perché mai Bo Xilai e il suo procedimento sarebbero dovuti essere così importanti? Se si leggono le trascrizioni (per altro pubblicate non integralmente) non si capisce davvero perché una storia di relazioni extraconiugali, tangenti e omicidio dovrebbe essere così rilevante.
È che nel processo i veri motivi – quelli importanti – della caduta di Bo Xilai non sono stati affrontati e forse già questo è frutto dell’accordo tra imputato e Partito. Solo tre reati, corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere, riferiti al periodo di Dalian e alla questione dell’assassinio di Heywood. Cosa rimane fuori in questo modo? Il «modello Chongqing», a torto o ragione considerata la causa della caduta rovinosa di Bo Xilai: il suo essere a capo di una fazione che avrebbe potuto cambiare i destini politici del paese, mutando completamente il corso della transizione avvenuta con il Diciottesimo Congresso. Estromettendo argomenti così sensibili, forse il Partito ha dato a Bo l’occasione di difendersi, ma ha completamente estromesso la possibilità che Bo Xilai, in un atto quasi suicida, ma in linea con il personaggio, trascinasse nel baratro anche i vertici del Partito.