Dodici anni fa una giovane brasiliana, figlia del presidente dell’istituto brasiliano Lixo zero (Rifiuti zero in portoghese), partecipa a un evento in una università italiana e con sua grande sorpresa vede solo adulti fra i presenti. Torna in Brasile e avvia il movimento. Che ben presto diventa internazionale: Zero Waste Youth International, con gruppi attivi in Costarica, Indonesia, Nepal, Mozambico, Portogallo, Portorico, Stati uniti, oltre che in Brasile. Presto sarà avviato anche in Italia. Ci stanno lavorando l’antesignano Centro Ricerca Rifiuti Zero di Capannori, attivo da 25 anni, e la coalizione Zero Waste Italia, nata nel 2009 per raccordare le iniziative italiane con quelle in altri paesi (c’è una Alleanza internazionale). Nel mese di novembre a Capannori si svolgerà l’evento mondiale We Are 2023, incentrato sui giovani. A un convegno preparatorio, il 25 marzo, hanno partecipato anche giovani attivi in campi pionieristici che illustrano l’ampiezza dell’orizzonte rifiuti zero, dalla coltivazione dell’alga spirulina grazie alle acque di lavaggio per la trafilatura della pasta, alla progettazione nel campo delle energie rinnovabili per allungare il ciclo di vita dei materiali e permetterne il riutilizzo (una grossa sfida aperta). E poi l’agricoltura, il design, l’architettura, l’informazione. Alcune attiviste francesi hanno spiegato come in Francia la lunga pressione su McDonald’s, colosso anche nella produzione di spazzatura, ne abbia indotto quantomeno la conversione alle stoviglie riusabili (il contenuto rimane però lo stesso). Era presente all’incontro Camila Lucena, portoghese, rappresentante del movimento Zero Waste Youth International.

Il termine «Rifiuti zero» può essere interpretato in vari modi, anche quello, piuttosto consumistico e tecnocratico, riassumibile nell’affermazione «tanto possiamo riciclare tutto»: un greenwashing, oltretutto inattuabile. Quale è il senso che date voi?

Per un mondo davvero senza sprechi occorre un nuovo paradigma. Il riciclaggio è l’ultima spiaggia, ma i rifiuti bisogna non farli. Gli scarti sono un errore di progettazione, in primo luogo. Il percorso rifiuti zero è un modo per contribuire gli obiettivi dello sviluppo sostenibile per il 2030, in tanti ambiti. Si pensi al rapporto fra spreco di alimenti e malnutrizione a livello mondiale. E all’obiettivo della difesa dell’acqua: là, nei mari, finisce di tutto. E poi alla questione della povertà: quanti beni diventano accessibili anche ai redditi modesti se si lavora al riuso e alla riparazione anziché buttare tutto i rifiuti negli inceneritori o in discarica!

I ragazzi, però, hanno abitudini ricche di usa e getta: fast-food, bibite multinazionali in plastica o lattina o tetrapak, acqua in bottiglia, mode che rendono effimero ciò che può durare, consumismo elettronico. E non sono frequentatori dei negozi dello sfuso o di quelli dell’usato.

Vero. Ma faccio un esempio di come le cose possono cambiare se il progetto zero scarti diventa divertente e attraente per loro. Florianopolis si è impegnata a diventare la prima città Rifiuti zero del Brasile. Ebbene, là ormai i giovani non vogliono più gli imballaggi monouso. O abiti di multinazionali e poco durevoli. Si vergognano ad andare in giro con uno shopper di plastica. Gli altri li giudicherebbero male! Inoltre, bisogna proprio arrivare a vedere tutto con altri occhi. Spesso i comportamenti sostenibili, compreso il non fare rifiuti, far durare, riusare eccetera, sono presentati come una perdita, una costrizione. Invece sono un miglioramento della vita. Stimolano anche la creatività, rispetto al comportamento passivo indotto dagli usa e getta.

A chi si rivolge il vostro movimento?

Sia ai giovani già impegnati sull’ecologia che agli altri, affinché non si sentano soli, magari circondati da persone che non vogliono saperne. E poi agli enti locali, e al mondo del lavoro, che ha proprio bisogno di questo tipo di nuove energie.

C’è differenza, pur nell’orizzonte «zero waste», fra l’impegno nelle aree abbienti e quello nelle aree povere del mondo?

L’obiettivo rimane ovunque lo stesso, ma certamente le situazioni sono molto diverse e quindi sono i nuclei nazionali a stabilire da dove si comincia, come ci si muove.