«Nicolás Maduro nel 2010 autorizzò l’invio di una valigia con 3,5 milioni di euro al consolato venezuelano a Milano per finanziare in nero il Movimento 5 Stelle».

Inizia così il dirompente articolo sul quotidiano spagnolo abc caduto come una bomba sul governo Conte. Al tempo, l’attuale leader bolivariano era il ministro degli esteri di Hugo Chávez.

Secondo il quotidiano monarchico spagnolo, di posizione molto conservatrice e anti-Maduro, l’informazione sarebbe contenuta in documenti segreti della Direzione Generale dei Servizi Segreti Militari del paese caraibico. A questi documenti avrebbe avuto accesso il giornalista investigativo autore dell’articolo, Marcos García Rey, che è stato uno dei 400 redattori del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi che aveva analizzato i famosi Panama Papers nel 2016. Nell’articolo, García Rey spiega che l’allora console venezuelano Giancarlo di Martino, avrebbe fatto da intermediario con Gianroberto Casaleggio, destinatario del denaro e morto nel 2016. Sembra che in quel momento il governo Chávez vedesse i grillini come «un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista».

I soldi in contanti sarebbero stati consegnati «in maniera sicura e segreta attraverso valigia diplomatica», come dice letteralmente il documento di cui il quotidiano spagnolo pubblica una copia, e proverrebbero dai fondi riservati amministrati dall’attuale viceministro economico Tareck el Aissami e mano destra di Maduro, che allora era ministro degli interni.

García Rey, di cui è nota la scarsa simpatia verso Podemos e i suoi leader, menziona il partito guidato da Pablo Iglesias nel suo pezzo sui 5 Stelle, tracciando un labile parallelismo fra i due partiti per l’autolimitazione del salario che si impongono gli esponenti di entrambe le forze politiche.

Ma l’analogia forzata con i viola è evidentemente voluta: è dai suoi albori che il movimento guidato da Pablo Iglesias viene accusato dalla destra mediatica e politica spagnola di avere rapporti loschi soprattutto con il Venezuela, ma anche con l’Iran.

Tutte le accuse, rilanciate da vari media legati alla destra, sono state smentite dai tribunali, ma apparivano puntuali nei momenti cruciali della storia del partito. Questa macchina del fango era orchestrata dall’ex commissario della Polizia José Manuel Villarejo, oggi in carcere, che, secondo le indagini condotte dall’Audiencia nacional spagnola, che lo sta processando, guidava una complessa trama di spionaggio illegale, fabbricazione di prove false e ricatti, in coordinazione con quella che era definita «brigata patriotica».

Questa era formata da alti ufficiali delle forze di sicurezza e del ministero degli interni, guidato allora dall’ineffabile Jorge Fernández Díaz, controverso personaggio che ha marcato una stagione molto polemica alla guida del ministero. Una oliatissima struttura che era capace di prendere di mira i nemici politici di turno del governo popolare, fossero i sempre più in auge viola o gli indipendentisti catalani.

Uno dei primi cosiddetti «rapporti» riservati preparati dalle cosiddette «fogne di stato» contro Podemos risale all’inizio del 2016, e accusava il partito di aver ricevuto indirettamente pagamenti dal governo di Teheran. Era un tipo di documento molto sospetto dall’inizio: elaborato da un ufficio molto legato alla brigata patriottico, non portava né un sigillo, né una firma (al contrario di quello pubblicato ieri dall’abc), ma ebbe successo nello scatenare una campagna di discredito verso il partito che in quel momento aveva appena portato i suoi primi 69 deputati in parlamento e negoziava (invano) con il Psoe per scalzare Mariano Rajoy.

Pochi mesi dopo, stesso meccanismo: stavolta l’accusa era di aver ottenuto soldi dal chavismo, prima sette milioni e in un secondo «rapporto» sarebbero stati 270mila. Tutte e tre le accuse sono state screditate in altrettante sentenze.
Vedremo se le accuse contro il Movimento 5S si dimostreranno più solide.