«Il corpo di Moro veniva ritrovato nella Renault rossa in via Caetani il nove maggio di quarant’anni fa. Lo stesso giorno la mafia uccideva Peppino Impastato. C’è un legame che unisce ogni violenza criminale contro la convivenza civile».

Nel ricordare ieri al Quirinale le vittime del terrorismo, il presidente Mattarella accomuna lo statista democristiano al giovane giornalista siciliano ucciso per il suo impegno quotidiano contro la mafia. Il 9 maggio del 1978 non segnò infatti solo la fine tragica dei 55 giorni del sequestro da parte delle Br di Aldo Moro, ma anche l’uccisione di un giovane che da Cinisi, in provincia di Palermo, denunciava l’illegalità mafiosa in anni in cui solo parlare di mafia era considerato addirittura impensabile.

Il ritrovamento a Roma del corpo di Moro fece passare in secondo piano quanto accaduto mille chilometri più a sud e probabilmente rese ancora più facile il lavoro di chi depistò le indagini.

Il corpo di Peppino venne ritrovato lungo i binari della ferrovia di Cinisi dilaniato da sei chili di tritolo e chi aveva interesse ad inquinare la verità fece di tutto per farlo passare per quello di un terrorista morto mentre preparava un attentato o per un suicidio.

Solo l’ostinazione dei suoi compagni di Radio Aut, l’emittente dalla quale denunciava gli affari illegali del boss Gaetano Badalamenti – che Peppino sbeffeggiava quotidianamente e senza paura apostrofandolo «Tano seduto» – del fratello Giovanni e soprattutto della madre Felicia, che ha combattuto fino all’ultimo perché venisse resa giustizia a quel figlio che si era ribellato a un padre mafioso, hanno permesso di fare luce sulla sua morte. «Lei ha reagito come può reagire una mamma», ha ricordato ieri Giovanni parlando di Felicia.

«Era sconvolta, ma aveva capito che serviva andare avanti, che dovevamo dare l’immagine giusta di Peppino. Come per i suoi compagni, che subirono perquisizioni. Loro riuscirono a trovare le macchie di sangue nel casolare dove fu fatto esplodere: hanno portato avanti un impegno serio e hanno pure rischiato».

Sono serviti anni perché si arrivasse alla verità. Archiviate nel 1992, le indagini vennero riprese solo dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo che confermò la matrice mafiosa del delitto indicando come mandanti Badalamenti e il suo vice Vito Palazzolo. Quest’ultimo venne condannato a 30 anni nel 2001, Badalamenti all’ergastolo l’anno dopo.

Ieri tantissimi studenti da tutta Italia si sono ritrovati a Cinisi per ricordare Peppino davanti al casolare in cui venne ucciso. In corteo si sono poi recati dalla sede di Radio Aut fino alla Casa memoria Felicia e Peppino Impastato. Presenti, tra gli altri, in fondatore di Libera don Luigi Ciotti e il segretario generale della Cgil Susanna Camusso.

Al termine del corteo c’è stato un collegamento con la famiglia di Giulio Regeni e l’avvocato Alessandra Ballerini. «Oggi più che mai, in un periodo in cui assistiamo con preoccupazione al proliferare di vili attacchi ai cronisti – ha detto il presidente siciliano dell’Unione cronisti, Andrea Tuttoilmondo – l’esempio di Peppino Impastato rappresenta l’imperitura incarnazione di quello straordinario coraggio che è sinonimo di libertà».