Ex ribelle dei Tupamaros, più tardi presidente dell’Uruguay tra il 2010 e il 2015, José Pepe Mújica abbracciò la politica formale dopo l’apertura democratica del paese nel 1985, fondando qualche anno più tardi il Mpp (Movimiento de Participación Popular).

Da sempre difensore di idee libertarie e socialiste come l’abbattimento delle classi sociali e della povertà, il diritto alla casa, la legalizzazione delle droghe leggere, allergico a cravatte, cerimonie e protocollo, l’83enne Mújica ha rinunciato poche settimane fa alla carica di senatore per «stanchezza dovuta al lungo viaggio e voglia di andare in pensione prima di morire», promettendo però che finché rimarrà lucido non abbandonerà la solidarietà né la lotta delle idee.

Cittadino onorario di Livorno dal 2015 per volontà del sindaco Filippo Nogarin, l’ex presidente uruguaiano è tornato martedì in città per presentare il libro curato da Andrés Danza e Ernesto Tulbovitz Una pecora nera al potere, edito dal gruppo Lumi.

«Ringrazio e rivolgo un abbraccio affettuoso all’Italia, che è anche un po’ mia, perché italiana era la mia famiglia materna. I sentimenti compongono l’essenza della nostra civilizzazione. La zona del Río de la Plata si è formata un secolo fa attraverso il dolore degli europei che migravano. Questa è la nostra storia».

Si è presentato così, Mújica, toccando subito un tema molto spinoso: non è semplice parlare di migrazioni in Italia oggi né soprattutto farlo seduti a fianco di un sindaco cinquestelle che durante la crisi dell’Aquarius dichiarò su Facebook che avrebbe aperto il porto, per poi smentirsi pochi minuti dopo.

Ma quando qualcuno gli fa notare che i governi occidentali non sono capaci di gestire i flussi migratori, anzi ne esaltano le criticità e i rischi rispondendo con politiche nazionaliste di chiusura e repressione, Mújica ricorda che l’immigrazione massiccia che vide la zona del Rio de la Plata durante la prima parte del Novecento fu dovuta principalmente alla fuga dalla guerra e dalla miseria che affliggevano l’Europa.

«Le nuove generazioni probabilmente non lo ricordano, visto che dopo si è sperimentato un periodo lunghissimo di pace, piuttosto insolito per un continente molto bellicoso come il vostro. L’Europa si è spartita l’Africa nell’Ottocento e, mentre mostrava i benefici della cultura occidentale, soppiantava la cultura primitiva e tradizionale africana. In fondo l’onda migratoria africana è la conseguenza diretta del colonialismo europeo. Non credo che si sia risposta, se non quella di portare lo sviluppo in Africa affinché esca dalla povertà».

Ci sono tutti gli estremi per arrivare velocemente a parlare della coalizione di governo italiana e di quello che sta facendo con i migranti nel Mediterraneo. «Non ho risposte per la politica italiana – taglia corto l’ex presidente – e se l’avessi non le darei, visto che non conviene agli interessi del mio piccolo paese, l’Uruguay. Ho bisogno della mano amica dell’Italia per il bene dei miei compatrioti».

Parlando della crisi della sinistra internazionale, l’ex presidente appare nostalgico: «La democrazia non è mai perfetta e non sarà mai un progetto finito: rimangono da fare molte cose, l’uguaglianza, le pari opportunità, ci sono molti sogni e utopie da realizzare ancora. Ci sono cose meravigliose nella modernità, ma i giovani e le giovani di oggi hanno ancora molto da lottare per arrivare alla democrazia. Da giovane pensavo che lottavamo per ottenere il potere; oggi credo invece che lottiamo per salire dei piccoli gradini nella scala della civilizzazione. I diritti di cui godiamo oggi sono conquiste di gente che sognava più di noi, ma che allora ha perso: le otto ore, la pensione…sono tutti frammenti di sogni infranti».