Mentre il presidente Usa Trump preferiva alla cautela europea il sostegno pieno a Erdogan (espresso in una telefonata di congratulazioni lunedì sera), migliaia di turchi scendevano in strada fin da domenica, a urne chiuse e con i conteggi ufficiali che annunciavano che era andato tutto bene, il Sì aveva vinto e la nazione aveva scelto secondo coscienza.

SFIDANO IL POTERE LOGORO e vorace che quando non vince con persuasione, intimidazione, repressione, ricorre ad altri trucchi. Sfidano i divieti imposti dallo stato di emergenza, prorogato di altri tre mesi nonostante la campagna del partito al governo Akp fosse fondata sul ritorno alla normalità.

Lo stato di emergenza sospende il diritto di manifestazione e eventi non espressamente autorizzati rischiano di incontrare una dura repressione delle forze di polizia.

Repressione che puntualmente è arrivata: sono circa 49 gli arresti, secondo il quotidiano Hurriyet, già condotti tra chi si oppone al risultato del referendum. Le prime reazioni erano già comparse proprio mentre il presidente Erdogan parlava alla nazione annunciando la vittoria del Sì.

Nei quartieri di Istanbul hanno cominciato a risuonare pentole e coperchi battuti con mestoli e cucchiai. Giovani e anziani, donne e uomini, come ai tempi di Gezi. Ad Ankara, dove si registrano continui tentativi popolari di protestare di fronte agli uffici del Consiglio supremo per le elezioni (Yuksek Secim Kurulu, Ysk) la polizia è intervenuta per disperdere la folla con i lacrimogeni. Si segnalano dieci arresti.

Quattordici persone sarebbero state fermate invece ad Adalia, nel sud, dopo che la folla si era radunata di fronte allo storico Arco di Adriano contro l’esito del referendum

AD ISTANBUL SONO I QUARTIERI “liberal” di Kadikoy, Besiktas e Bakirkoy a guidare la protesta. Anche ieri sera un lungo corteo ha percorso le strade del centro cittadino, inneggiando alla resistenza con messaggi come «Hayir bitmedi: daha yeni basliyor»: «Il No non è finito, sta ricominciando di nuovo». Anche qui sono risuonate a lungo le pentole.

Naturalmente non tutti apprezzano: i sostenitori del presidente sono tanti quanti gli oppositori e sono galvanizzati da mesi di campagna elettorale. Così qualcuno si affaccia non per battere pentole, ma per urlare il proprio disprezzo ai vicini.

Nel frattempo la parlamentare austriaca Alev Korun, parte della delegazione Osce in Turchia, ha confermato quanto già ufficialmente raccontato nel rapporto preliminare: «Il sospetto è che almeno 2,5 milioni di voti siano stati manipolati», oltre ad affermare che osservatori sono stati respinti a Diyarbakir.

Alla voce dell’Osce si è unita quella del sindacato dell’ordine degli avvocati turchi (Tbb), che ha dichiarato come la decisione dello Ysk sia andata «chiaramente contro la legge»: «L’annuncio del Consiglio elettorale supremo ha indotto in errore presidenti e rappresentanti di seggio, facendo conteggiare come validi voti che validi non dovevano essere considerati: in questo modo ha favorito irregolarità e impedito la registrazione di eventuali irregolarità».

ERDOGAN HA GIÀ FATTO SAPERE che non accetterà nessuna critica proveniente dall’estero, tantomeno da quelli che ha definito «Stati crociati», in riferimento all’Europa e ai suoi organismi. «Ati alan Uskudar’i gecti», ha detto, recapitando un messaggio a tutti i suoi oppositori interni ed esterni con un detto tradizionale che somiglia all’italiano «inutile chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati».

L’altra voce Akp è quella dell’ormai quasi ex primo ministro Yildirim, che ha cercato di veicolare un messaggio conciliatore invitando tutti a pensare al bene del paese. Difficilmente un messaggio di questo tipo riuscirà a far presa in quella parte del paese che si sente non solo defraudata, ma anche privata di quelle istituzioni in cui si identificava.

L’HDP SI È UNITO al partito repubblicano Chp e invocato l’annullamento del referendum: «Se non ci sarà uniformità di giudizio come nel 2014, quando lo Ysk ha annullato per invalidità milioni di voti in un altro referendum, allora non sarete più un arbitro, ma un partito».

E infine c’è lo strano caso dell’elicottero caduto ieri in tarda mattinata nella zona montagnosa di Tunceli, Anatolia orientale, con a bordo un giudice, Onur Alan, e otto poliziotti, tutti in servizio ai seggi per la vidimazione delle schede del referendum e il controllo delle operazioni di voto.

L’ELICOTTERO SI È SCHIANTATO dopo dieci minuti dall’ultimo decollo dalla pista di Pulumur. La zona era coperta da una fitta nebbia. Ma l’agenzia turca Dogan dice che sarebbe partita una chiamata di emergenza dicendo che a bordo c’erano sette feriti.

La circostanza è stata smentita dall’ufficio del governatore: «Non c’è alcun fattore esterno dietro lo schianto», precisa il ministro degli Interni Soylu.

La provincia di Tunceli, nota anche come Dersim, l’unica a maggioranza alevita con una forte presenza kurda, ha votato massicciamente per il No.