«Faremo ciò che abbiamo detto in campagna elettorale: proporremo un contratto di governo come si fa in Germania». Così Luigi Di Maio spiega all’assemblea congiunta dei parlamentari grillini le prossime mosse del suo Movimento 5 Stelle. Lo schema è quello disegnato nei giorni scorsi: si parla con Matteo Salvini e non con Silvio Berlusconi, si tratta con il Pd ma non con Matteo Renzi. A complicare le cose, il punto fermo: il capo politico pentastellato deve andare a palazzo Chigi, perché, come spiega la capogruppo alla camera Giulia Grillo, «11 milioni di cittadini hanno votato non solo il programma del M5S ma il candidato premier Luigi Di Maio che di quel programma è il garante». Dunque o Di Maio o nulla, è la linea, almeno in questo primo giro di consultazioni al Colle che difficilmente produrrà un incarico di governo da parte di Mattarella.

«MA VE LO IMMAGINATE con che faccia si tornerebbe sui territori proponendo un altro candidato premier?», chiede Di Maio all’assemblea. Allo stesso modo si smentisce il ricorso a figure terze come presidenti del consiglio. Raffaele Cantone, Paola Severino o Giovanni Maria Flick hanno la pecca, di fronte al leader M5S, di «non aver preso neanche un voto».

Il neo-eletto Emilio Carelli racconta su Facebook che Di Maio adopera parole interlocutorie: «Noi un tentativo per formare un governo lo dobbiamo fare». Perché c’è l’idea di presentarsi da Sergio Mattarella con più di un veto ma con piglio costruttivo. Ma con tutta evidenza la mossa non ha alcuna pretesa di essere risolutiva o di scompigliare le carte delle altre forze. Offrire un patto di governo serve a rimettere la chiesa grillina al centro del villaggio, scegliendo i propri interlocutori e lanciando direttamente a loro una sfida.

A ben guardare, e questa è l’impressione che hanno avuto anche alcuni deputati e senatori più scafati all’interno del consesso riunitosi a Montecitorio, si tratta di uno schema che a sua volta pone il Movimento 5 Stelle di fronte ad un bivio. Un governo con Matteo Salvini, la Lega e un centrodestra che abbia in qualche modo defenestrato Silvio Berlusconi rappresenterebbe l’alleanza tra due forze uscite vincitrici dalle urne, acuirebbe le divergenze con Bruxelles e porrebbe il M5S di fronte alla definitiva mutazione che proprio nelle stanze del parlamento europeo era stata evocata, attraverso l’accordo con Nigel Farage e il suo Ukip.

Un accordo con il Pd «derenzizzato», al contrario, approfondirebbe la svolta «moderata» e «responsabile» iniziata da Di Maio sotto la sua reggenza, abbasserebbe la tensione con l’Europa. I 5 stelle approfitterebbero del viatico del partito meglio introdotto nelle stanze dell’Unione per garantirsi le credenziali di fronte all’establishment. Evocare i due forni del Pd e della Lega, per di più, serve ad esorcizzare il timore che gli schieramenti col passare del tempo si scongelino e che il centrodestra si mantenga compatto e raccolga la maggioranza necessaria rastrellando voti qua e là.

NELLA VISIONE DI DI MAIO, peraltro, la coalizione che ha raccolto la maggioranza relativa dei consensi praticamente non esiste: «Il centrodestra è rappresentato da tre partiti diversi, che si sono presentati con tre programmi e tre candidati premier diversi», dice, sottolineando come nelle consultazioni che cominciano oggi i tre partiti formeranno tre diverse delegazioni per salire al Colle. Di Maio rivendica il metodo utilizzato per eleggere i presidenti delle camere e soprattutto «i paletti che abbiamo messo». Il che lascia qualche spazio di manovra: in quell’occasione «i paletti» che Di Maio rivendica consentirono comunque a Berlusconi di scegliere un’esponente del suo partito per il senato.

Alle telecamere di Di Martedì, inoltre, il capo politico non nasconde la sua voglia di governo e fa professione di ottimismo: «Siamo a tanto così dal cambiare tutto: abbiamo un’occasione storica a portata di mano. Sento la responsabilità di non deludere le aspettative degli italiani che sono altissime ma abbiamo la possibilità di farcela».

LE REAZIONI SDEGNATE alle sue parole sembrano smentirlo. Ma questa settimana è quella dello schieramento delle truppe, cui dovrebbe seguire l’incontro faccia a faccia con Salvini e, secondo alcuni, la riapertura dei giochi.