Un popolo di pensionati poveri, in assoluta maggioranza donne (l’86%), vive con mille euro al mese: 12,8 milioni di persone (su 17). Questa è la base della povertà di massa in cui vive il nostro paese. Ai numeri, confermati ieri dall’Osservatorio sulle pensioni ai quali vanno aggiunte le masse di lavoratori giovani, e meno giovani, attualmente in attività. Per chi è entrato sul mercato del lavoro dal 1996 in poi, dopo la riforma pensionistica Dini, il presente composto di lavori precari, storie contributive dissestate, disoccupazione, lavoro nero e informale porterà a un futuro pensionistico peggiore. Siamo seduti su una bomba sociale.

QUESTA È la condizione dei pensionati attuali. Oltre 11 milioni, il 62,2% degli assegni, vivono con meno di mille euro: ovvero meno di 750 euro. Tra di loro il 75% sono donne. Questi numeri sono solo indicativi di una situazione di povertà assoluta perché molti pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi. La precisazione è d’obbligo, ma va detto anche che solo il 44 % (quasi 5 milioni) beneficia di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, come integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile. Tutti gli altri sono poveri e anziani.

PER CHI, invece, è giovane o quarantenne precario o autonomo, con redditi ondivaghi e sempre più bassi, le coperture pensionistiche saranno insufficiente. E’ l’effetto combinato, e devastante, di un’economia fondata sul sotto-salario e l’iper-lavoro precario intermittenti e di una riforma previdenziale che ha ancorato la vita alla logica dell’equilibrio attuariale a discapito dell’equità previdenziale. Questo significa aumento progressivo dell’età pensionistica (nel 2019, 67 per le pensioni di vecchiaia), moltiplicazione del precariato. E quanto i lavoratori poveri e precari avranno guadagnato nella loro «carriera», avranno in vecchiaia. Poco, anzi pochissimo. Pur avendo creato enormi avanzi finanziari – nel 2016: 39 miliardi, il 2,3% del Pil – , l’attuale sistema pensionistico penalizza le generazioni che sprofondano nel precariato e alle quali tutti dedicano un pensiero elettorale.

«C’É L’URGENZA di proseguire con la vertenza sulle pensioni per ottenere la pensione di garanzia per i giovani – ha commentato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Non si può pensare al futuro con l’attuale sistema che, in particolare per i giovani e per tutte le forme di precarietà, determinerà pensioni che non permettono di vivere dignitosamente». Dello stesso avviso è Maurizio Martina, segretario reggente del Pd: «La discontinuità e la precarietà dei lavori di tanti ragazzi e ragazze non consentirà loro di avere in futuro pensioni dignitose e per questo occorre intervenire presto con un strumento nuovo di protezione come l’assegno di garanzia». Nell’emisfero sinistro della politica italiana l’argomento di un reddito garantito è un tabù nel presente. Ma si propone una «pensione di cittadinanza» per il futuro, come se fosse un problema distinto.

SUL TAVOLO ci sono anche altri temi. La Uil chiede di introdurre una flessibilità intorno a 63 anni per i lavoratori, continuare a cambiare la legge Fornero e contribuire a favorire il turnover nel mercato del lavoro. «Avremo così riflessi positivi per le giovani generazioni» sostiene il segretario confederale della Uil Domenico Proietti. Cesare Damiano del Pd considera «prioritaria una misura, realizzata solo in parte con l’Ape sociale: la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica». «I recenti attacchi al sistema pensionistico – continua – da parte della Commissione Ue e del Fmi, che pretendono una Fornero-2, ci spronano ad andare nella direzione opposta. È evidente che, dopo le numerose riforme (2004, 2007, 2010 e 2011), il sistema è in equilibrio». A che costo, però.