Tutto come previsto: troppa carne al fuoco, tanto fumo e niente arrosto. Il tavolo politico sulle pensioni di ieri pomeriggio fra governo e sindacati ha partorito solo un lungo elenco di temi che saranno affrontati dopo la pausa estiva. Anzi, i temi hanno travalicato quello delle pensioni per arrivare perfino alle «politiche del lavoro».
In quasi di tre ore di confronto si è quindi deciso di rimandare tutto a settembre (cinque tavoli già fissati dal 30 agosto al 7 settembre), convinti di essere in tempo per trovare la quadra in vista della legge di bilancio.
Sui temi più scottanti il governo per bocca del ministro Giuliano Poletti e del consigliere economico di palazzo Chigi Marco Leonardi hanno comunque già messo le mani avanti. In special modo sull’innalzamento dell’aspettativa di vita per l’adeguamento dell’età pensionabile. Se Cgil, Cisl e Uil (insieme ad un fronte politico bipartisan) chiedevano il congelamento dello scatto di 5 mesi a partire dal primo gennaio 2019 – l’età diventerà di ben 67 anni – il governo concede solo l’ennesimo contentino: l’aumento sarà bloccato solo per determinate categorie o in alternativa si allargherà l’uso dell’Ape social per l’anno prossimo (i paletti troppo stretti quest’anno lasciano fuori decine di migliaia di lavoratori a partire da buona parte degli edili). Lo strumento sarà lo stesso anche per tutelare le donne, ancor più bistrattate: si punta a riconoscere gli anni di maternità o di cura dei parenti.
Quanto alla pensione di garanzia per i giovani, l’unica certezza riguarda il fatto che per agevolarla non si utilizzeranno i contributi figurativi ma la fiscalità generale con interventi sia assistenziali che contributivi. Confermato invece il cambio del sistema di rivalutazione: dal 2019 si torna al sistema Prodi, più favorevole dell’attuale.
«Un lavoro positivo e utile», ha commentato Poletti, giudizio condiviso da Annamaria Furlan. «Bisogna fare presto», dice invece Barbagallo; «sull’età pensionabile non siamo stati rassicurati», protesta Camusso.