Una proposta per rompere l’impasse. Schierandosi fortemente per la flessibilità in uscita e per la pensione di garanzia per precari e giovani. Nell’intervista concessa al manifesto per il primo maggio il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha lanciato un sasso nella palude del post Quota 100. Con Draghi completamente silente e il ministro Orlando che solo dopo mesi di pressing ha annunciato l’inizio del confronto con i sindacati, Tridico ha proposto un uscita a partire da 62-63 anni ma con un assegno coperto sola dalla parte contributiva, attendendo i 67 anni per rimpinguarlo con la parte retributiva. Per quattro o cinque anni l’assegno sarebbe fortemente decurtato – anche se una stima precisa non esiste e varia da pensionando a pensionando – ma consentirebbe di lasciare il lavoro cinque anni prima della riforma Fornero, quella che tornerà dal primo gennaio 2022 senza interventi del governo, come la parte tecnocratica dell’esecutivo Draghi punta certamente a (non) fare.
In questo contesto però i sindacati sono piuttosto freddini rispetto alla proposta Tridico. E oggi rilanceranno in toto la loro piattaforma in un’iniziativa unitaria on line alla presenza dei segretari generali Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri.
«Noi siamo perché si possa andare in pensione a 62 anni senza decurtazione alcuna – spiega il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli – mentre con la proposta di Tridico il taglio sarebbe molto pesante. Apprezziamo invece che Tridico rilanci la pensione di garanzia contributiva perché dobbiamo guardare al mondo del lavoro per come è e come sarà. Non esiste più la pensione minima e dunque serve uno strumento per aiutare chi è stato precario o disoccupato, valorizzando comunque la presenza attiva nel mercato del lavoro: quindi la pensione di garanzia contributiva è una proposta solidaristica ma non assistenziale», chiude Ghiselli.
«Sulla flessibilità ci siamo, ma ancor prima che inizi il confronto con il governo non ha senso inventarsi un meccanismo di calcolo sbagliato – commenta il segretario confederale della Cisl Ignazio Ganga – . La nostra proposta di flessibilità parte da 62 anni di età o 41 anni di contributi, senza ricalcoli». Il rischio che invece il governo apra semplicemente ad interventi mirati come un (timido) allargamento dell’Ape sociale – il meccanismo introdotto dall’allora governo Gentiloni per mandare in pensione anticipata alcune categorie di lavoratori usurati con paletti fin troppo stretti – non spaventa la Cisl: «Il governo sa che lo scalone quinquennale che ci sarebbe ritornando alla riforma Fornero non sarebbe capito», conclude Ganga.
«Pur apprezzando lo sforzo di fantasia di Tridico, lo trovo estemporaneo e non percorribile», commenta Domenico Proietti, segretario confederale della Uil. «Come arriverebbero a 67 anni i pensionati solo con la parte contributiva della pensione pari a 5-600 euro? La flessibilità in uscita è necessaria ancor di più in vista delle ristrutturazioni aziendali dei prossimi mesi, mentre è tafazzismo puro che il governo abbia sostenuto ancora nel Def che la spesa pensionistica sia il 16% del Pil quando in realtà è molto minore», conclude Proietti.
Sotto questo aspetto Cgil, Cisl e Uil sottolineano la ripartenza – il 28 aprile – della commissione ministeriale che punta a dividere la assistenza dalla previdenza nel bilancio Inps. Tridico appoggia la richiesta e stima in circa il 14% la spesa strettamente previdenziale sul Pil, mentre i sindacati sostengono sia il 12%.
Ora Cgil, Cisl e Uil si augurano una rapida convocazione da parte del ministro Orlando per affrontare il tema di come evitare il ritorno alla Fornero. La partita politica è comunque delicatissima: trovare una posizione comune nel governo è assai complesso.
Un punto fermo ci sarebbe. Il flop leghista di Quota 100 ha fatto risparmiare quasi 7 dei miliardi a copertura. Ma come accade sempre in fatto di pensioni, gran parte di quei soldi sono già stati nel frattempo usati per altri capitoli di spesa.