L’idea allo studio del governo è quella di finanziare l’uscita flessibile (cioè anticipata) per il pensionamento attraverso le banche: gli istituti di credito anticiperebbero i soldi necessari i primi anni (quelli “concessi” a chi esce prima, superando i vincoli posti dalla legge Fornero), che verrebbero poi rimborsati nel corso degli anni dagli stessi pensionati, dalle aziende e in piccola parte dallo Stato. Dipenderà dal tipo di uscita: se per scelta, se è imposta dalla perdita del posto, o da una ristrutturazione avviata dall’impresa per cui si lavora. A illustrare questo schema – che però dovrà essere confermato da un testo dell’esecutivo previsto per maggio – è stato ieri Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presidenza del consiglio e consulente economico di Palazzo Chigi, intervistato dal quotidiano Il Messaggero.

Nannicini ha spiegato che si ritiene necessario ricorrere all’intermediazione delle banche – un «mercato di anticipi pensionistici», l’ha definita – per il fatto che lo Stato, visti gli stretti obiettivi di bilancio, non può permettersi i costi previsti soprattutto nel primo periodo di applicazione della riforma: «Non è facile far quadrare i conti pubblici con interventi che aumentano la flessibilità in uscita – ha detto – Il problema è che un intervento di questo tipo ha costi di cassa di circa 5-7 miliardi: lo Stato infatti deve anticipare la pensione a chi va prima, poi recupera una parte di questi soldi con una penalizzazione».

Si conferma quindi l’idea di far pagare l’uscita anticipata allo stesso pensionato (o all’azienda, solo nel caso di ristrutturazione), che accenderà una sorta di “mutuo” sull’assegno che andrà a prendere, che verrà dunque decurtato. Su questo prestito verrà caricata anche una assicurazione sulla vita (per tutelare la banca dall’eventuale morte del contraente prima che il debito sia stato restituito) che dovrebbe essere a carico dello Stato.

Ecco quindi le tre «soluzioni» individuate da Nannicini, con tre diverse gradazioni di costo per lo Stato e per lo stesso pensionato: «Ci sono tre categorie – spiega il consulente del premier Renzi – La prima è quella delle persone che hanno una preferenza ad andare in pensione prima, ad esempio la nonna dipendente pubblica che vuole accudire i nipotini. La seconda è quella di chi ha necessità di andare in pensione anticipatamente, in quanto ha perso il lavoro e non ha ancora i requisiti di uscita. La terza: i lavoratori che l’azienda vuole mandare in pensione prima per ristrutturare il suo organico».

«Ebbene – prosegue Nannicini – si potrebbe provare a creare un mercato di anticipi pensionistici coinvolgendo governo, Inps, banche, assicurazioni. In questo schema, la prima categoria può andare in pensione ma con una penalizzazione leggermente più forte. Alla seconda categoria la penalizzazione gliela paga in buona parte lo Stato. Per la terza sono le aziende a coprire i costi dell’anticipo». «In sintesi – conclude – non sarebbe lo Stato a versare l’anticipo, ma si limiterebbe a coprire una parte dei costi con un’assicurazione a garanzia del rischio morte».

Nannicini ribadisce poi che «è escluso» un intervento sulle pensioni di reversibilità (va detto però che lo schema di decreto che lo prevede non è ancora stato emendato, nonostante le ripetute rassicurazioni del governo), mentre il bonus di 80 euro alle pensioni minime rimane del tutto astratto e futuribile: si parla di un generico «intervento» «da qui al 2018». L’Ires invece scenderà «dal 27,5% al 24% a partire dall’1 gennaio 2017», mentre il taglio Irpef «è previsto nel 2018».

Primo commento positivo da parte del presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, in attesa di vedere poi il position paper che il governo dovrebbe pubblicare in maggio: «Il fatto stesso che esista una proposta del governo è una vittoria del buon senso, finalmente il tema è al centro della discussione», spiega, aggiungendo però di non essere favorevole nel merito «all’idea di un prestito anticipato da banche e assicurazioni, perché l’ente erogatore deve restare l’Inps». Per un eventuale accordo Inps-banche, Damiano rimanda a una elaborazione comune, che coinvolga oltre al governo anche il Parlamento.

Damiano ricorda la necessità di affrontare anche altri temi relativi alle pensioni, un «pacchetto» più generale: «Le ricongiunzioni onerose, l’ottava salvaguardia degli esodati, i lavori usuranti, il monitoraggio dell’opzione donna».

Necessario infine pensare ai più giovani, gli under 35 che vedono la pensione rimandata probabilmente fino a 75 anni e con redditi bassi: si dovrà pensare a dei correttivi per il contributivo, che però, forse anche perché non a portata di scadenza elettorale, almeno per ora non sembrano negli orizzonti del governo.