Il disegno di legge Stabilità è approdato al Senato ed è pronto ad affrontare il passaggio parlamentare, ma non si sono affatto attenuate le critiche e le preoccupazioni provenienti dall’opposizione, dalle Regioni, dai sindacati, e dalla stessa minoranza Pd. I governatori non accettano i forti tagli previsti al sistema sanitario nazionale: la Regione Liguria ieri ha annunciato che potrebbe impugnare la manovra, mentre si teme che l’unica soluzione per poter mantenere i livelli minimi di assistenza potrebbe essere l’aumento delle addizionali Irpef o un rincaro dei ticket.

Sul fronte pensioni ieri è intervenuto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, spiegando che il suo istituto si sarebbe «aspettato di più», mentre il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, ha denunciato il «saccheggio» (parole sue) a danno del Fondo lavori usuranti. Ben 500 milioni di euro sottratti a chi potrebbe anticipare l’uscita dal lavoro perché svolge mansioni faticose: un paradosso, o addirittura una beffa, visto che dall’altro lato il governo sta cercando soluzioni proprio sul fronte della «flessibilità».

Se la minoranza Pd, e perfino un componente dell’esecutivo – il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini – hanno espresso critiche e perplessità sull’innalzamento della soglia dei pagamenti in contanti da 1000 a 3 mila euro («ha vinto Angelino Alfano», ha detto Franceschini, e il titolare dell’Interno ha replicato «sì, ho vinto io»), dall’altro lato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha difeso la manovra, spiegando che le polemiche gli «mettono tristezza».
Il ministero di via XX Settembre ha reso pubblico il documento che accompagna il ddl, dove si spiega che «il Paese riparte grazie al taglio delle tasse»: «Il taglio delle imposte sulla prima casa, gli ammortamenti per l’acquisto di macchinari, la semplificazione delle procedure fiscali per gli autonomi e le piccole imprese, il blocco dell’aumento dell’Iva e delle accise – si legge nel testo – fanno parte di un’unica ricetta che riuscirà a chiudere il circolo vizioso che ha a lungo depresso l’economia italiana».

Il ministero dell’Economia è entrato anche nella violenta querelle scoppiata tra la direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, e il sottosegretario dello stesso dicastero, Enrico Zanetti: Padoan ha difeso Orlandi, per cui Zanetti aveva chiesto addirittura le dimissioni dopo che “lady Fisco” aveva criticato le politiche del governo sulle assunzioni dei dirigenti della sua Agenzia e per l’innalzamento della soglia dei contanti a 3 mila euro. Intervento, quello di Padoan, che era stato sollecitato da più parti, in primis dalla minoranza Pd.

Nel documento di accompagnamento al ddl Stabilità, il ministero ha ribadito che vengono «bloccati gli aumenti dell’Iva e delle accise, per un importo di 16,8 miliardi (circa l’1% del Pil)». Dal primo gennaio 2017 l’Ires viene ridotta dal 27,5 al 24%: la misura, si sottolinea, «mira a condurre il prelievo sui risultati di impresa verso i livelli medi europei». Prosegue in forma ridotta, al 40%, lo sconto per le assunzioni a tempo indeterminato, con il contratto a tutele crescenti: secondo il ministero gli sgravi assicurerebbero un totale di 2,2 milioni di assunzioni nel biennio 2015-2016 (1,2 milioni quest’anno e 1 milione l’anno prossimo).

Si conferma la settima salvaguardia per gli esodati, garantendo così 26 mila persone (ma i sindacati parlano di 50 mila soggetti oggi scoperti, quindi 24 mila rimarrebbero fuori). Si conferma l’opzione donna e il part time per gli over 63, misure che rappresentano solo un “antipasto” della necessaria flessibilità previdenziale, mentre la no tax area dei pensionati viene elevata da 7.500 euro a 7.750 euro. Viene incrementato il carico fiscale sul settore dei giochi, e quanto alla voluntary disclosure per il rientro dei capitali dall’estero, sono previste maggiori entrate pari a circa lo 0,15% del pil (circa 2,4 miliardi) nel 2015.

Sia nel 2016 che nel 2017 i risparmi di spesa, la cosiddetta spending review, saranno pari a circa lo 0,5% del Pil (pari a 8 miliardi di euro circa in due anni).
Infine non si placa lo scontro con i sindacati del pubblico impiego, che già nelle settimane scorse, all’annuncio dei magri stanziamenti per il loro contratto – solo 300 milioni di euro – avevano annunciato una «mobilitazione dura». Ieri si è saputo che il governo potrebbe addirittura non contrattare, aumentando i salari per decreto: lo farebbe non per tutti i pubblici dipendenti, ma per almeno 1,2 milioni di loro, quelli che lavorano per Regioni, enti locali e sanità. Si tratterebbe di un decreto del presidente del consiglio, da emanare entro gennaio: «Il decreto – evidenziano i sindacati – rischia di trasformarsi in un surrettizio atto di indirizzo all’Aran, e poiché gran parte degli interessati è dipendente da Regioni, sanità ed enti locali, rischia di essere lesivo di prerogative costituzionali».