Il governo sta lavorando sulla possibilità di introdurre una flessibilità in uscita per le pensioni (in pratica una correzione della riforma Fornero), ma è ancora presto per sapere se l’eventuale misura sarà varata già nella legge di Stabilità, e soprattutto non sono ancora noti i costi per gli eventuali beneficiati. Ad annunciare il progetto è stato ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: «Stiamo lavorando sulle riforma delle pensioni. Sappiamo che c’è un aspetto da risolvere legato a uno scalino alto che blocca il turn over introdotto dalla legge Fornero. In questo momento stiamo valutando opzioni e punti di equilibrio assieme al ministro dell’Economia Padoan».

Le dichiarazioni, rese in mattinata a Modena, hanno scatenato domande, ipotesi e scenari. Il ministro, qualche ora dopo, ha cercato di mettere uno stop alle illazioni: «Stiamo lavorando, come ha detto il presidente del consiglio, adesso analizziamo tutte le opzioni possibili. Ho visto che escono fantasiose anticipazioni che non c’entrano nulla con il lavoro che stiamo facendo. Adesso dobbiamo fare tutte le previsioni, simulazioni e valutazioni, poi collegialmente il consiglio dei ministri deciderà».

Il sigillo del premier è arrivato dalla direzione del Pd, quando Matteo Renzi ha confermato l’intenzione di agire: «I conti pensionistici non si toccano – ha spiegato – Non intendiamo mettere un segno più sulle pensioni, ma se esiste la possibilità, e stiamo studiando il modo, di consentire una flessibilità in uscita, sarebbe una questione di buonsenso e buona volontà che possiamo affrontare».

Secondo il premier, bisogna lavorare a una soluzione che «consenta forme di flessibilità in uscita con un piccolo aumento dei costi nell’immediato che poi viene recuperato» successivamente.
Ecco le ipotesi al momento in campo. 1) Opzione donna: le lavoratrici potrebbero anticipare l’uscita a 62-63 anni, quindi con tre anni di anticipo, e con 35 di contributi. La riduzione dell’assegno si attesterebbe a circa il 10% (contro il 25-30% di taglio previsto nelle ipotesi del passato). Nel lungo periodo l’operazione dovrebbe essere a costo zero per i conti dello Stato, ma per i primi anni di utilizzo dell’opzione bisognerà trovare una copertura perché le pensioni, anche se più basse, si pagheranno in anticipo e per un tempo più lungo.

2) Opzione «uomo» per disoccupati. Destinata ai lavoratori che perdono l’occupazione a pochi anni dalla pensione, permetterebbe di accedervi con 3 anni di anticipo rispetto all’età di vecchiaia (66 anni e 7 mesi dal 2016) con un taglio dell’assegno legato non al ricalcolo contributivo, ma all’equità attuariale, cioè al tempo più lungo di percezione dell’assegno. Il governo starebbe studiando anche il prestito pensionistico, e una sorta di assegno di solidarietà per le situazioni di maggiore disagio, da restituire una volta che si raggiungono i requisiti di pensione.

Sembrano archiviate, per i costi troppo alti che potrebbero avere, due opzioni di cui si è parlato nei mesi scorsi: quella avanzata in Parlamento da Damiano-Baretta (2% di taglio per ogni anno di anticipo, con un limite dell’8%) e quella sulla «quota 100» tra età e contributi. Secondo i calcoli dell’Inps, le due ipotesi costerebbero a regime (se tutti coloro che ne hanno diritto utilizzassero l’opzione) rispettivamente 8,5 e 10,6 miliardi l’anno.

Il presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, del Pd, propone di “scambiare” parte della tassa sulla casa con la flessibilità: «Potremmo tagliarla solo ai redditi medio-bassi e farla pagare ancora a chi può, così da utilizzare i risparmi per le pensioni».

La leader Cgil Susanna Camusso torna a chiedere un intervento, con una battuta: «Se si può contestare l’Europa per togliere la tassa sulla casa – dice – non si capisce perché non si possa farlo sulle pensioni». Anche Cisl e Uil sollecitano una correzione, già nella legge di Stabilità, della riforma Fornero.