L’annunciato intervento cosmetico sulla «riforma» Fornero da parte del governo Cinque Stelle-Lega ha scatenato un conflitto con l’Ocse. «Penso sia importante non disfare la riforma Fornero – ha detto il capoeconomista dell’Ocse Laurence Boone presentando a Parigi le previsioni intermedie dell’organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica – Se si tratta di ridurre l’età pensionabile sappiamo che questo non crea occupazione, non sono i giovani che rimpiazzano gli anziani».

Per Boome è «ingiusto da un punto di vista di equità intergenerazionale, perché costa di più alle finanze pubbliche ed è un fardello che si fa pesare sui giovani». Osservazioni che sono sembrate al vicepremier ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio, in un post su Facebook scritto durante il viaggio in Cina, un attentato contro la «sovranità», concetto che fa fibrillare i cuori oggi a destra e a sinistra. «L’Ocse non deve intromettersi nelle scelte di un Paese sovrano che il governo democraticamente legittimato sta portando avanti. Il superamento della legge Fornero è nel contratto e verrà realizzato. Quasi due terzi degli italiani sono con noi. I burocrati se ne facciano una ragione. Siamo stati eletti anche per questo e manterremo l’impegno preso».

A mettere uno spazio tra il punto e la virgola ci ha pensato il premier Conte che, con disinvoltura, ha detto: «Non raccoglierei polemiche, queste valutazioni non mi sembrano possano essere supportate da fatti, dai riscontri reali». La sceneggiatura della lite di giornata segue lo schema consolidato: da un lato, i tecno-burocrati liberisti; dall’altro lato, i «populisti» che evocazione un’idea di «democrazia». Lo scontro è destinato a rafforzare il consenso di questi ultimi nel perimetro della loro comunità nazionale. Ma, a guardare meglio, oltre le rispettive propagande, va detto che sul tavolo del governo italiano, al momento, non c’è esattamente il «disfacimento della riforma Fornero».

Tra le numerose ipotesi, almeno un elemento sembra essere chiaro: la cosiddetta «quota 100» – la somma tra età anagrafica e anni di contributi previdenziali versati – non intacca il meccanismo di adeguamento automatico istituito dalla sciagurata riforma che ha contribuito a rendere quello italiano il sistema più ingiusto d’Europa. Al contrario, si sta discutendo se, e come, bloccare per una categoria specifica di lavoratori tra i 62 e i 64 anni (purché con 38 anni di contributi). Nel mezzo esiste un risiko di combinazioni diverse la cui razionalità è quella della compatibilità dei costi per l’erario pubblico e il gioco dei decimali a cui in molti oggi al governo non vorrebbero «impiccarsi». Cosa invece che sta accadendo.

La sceneggiata Ocse-governo va intesa anche in un altro modo: basta un intervento modesto, non conclusivo dei problemi creati dall’innalzamento repentino dell’età pensionabile, per fare scattare l’allarme tra i paladini del «non toccate le riforme». Evocare, come hanno fatto ieri, la «Brexit e l’Italia» come «i principali rischi che potrebbero impedire la prosperità dell’Europa» non è solo disonesto, ma sembra un modo per entrare nelle tensioni che contrappongono i Cinque Stelle (e la Lega) al ministro dell’Economia Tria nella guerra del deficit: 1,6, 1,8, oltre il 2 per cento nel rapporto con il Pil? Si capisce allora la ragione della risposta di Di Maio, impegnato nella difesa dei colori sociali. E non è detto che questo approccio invasivo aiuti la battaglia austeritaria. Anche perché il contenuto dello scontro non coincide con la realtà. In questa confusione il messaggio è sempre lo stesso: l’austerità non si tocca, indipendentemente dal fatto che i «populisti» intendano farlo davvero. E non è questo il caso.

In attesa che qualche numero vero della legge di bilancio sia finalmente reso noto, le uniche indicazioni di contenuto giunte ieri da Parigi sono quelle ormai conosciute: la crescita italiana dovrebbe calare all’1,2% nel 2018, contro la stima di maggio dell’1,4%. E, visto lo stop dell’industria in estate, la crescita potrebbe essere inferiore. Prospettiva che potrebbe rendere ancora più difficili gli equilibrismi al governo.