Tre pagine di «Nota finale di sintesi» senza una cifra, piene di impegni futuri, pochissime certezze e ancor meno passi avanti. La trattativa sulle pensioni si chiude con il governo che tramuterà la «nota» in un emendamento «blindato» alla manovra e i sindacati che si dividono sul giudizio evitando però la firma separata. La Cgil conferma la manifestazione di sabato 2 dicembre che però – «per ragioni di tempi troppo ravvicinati» – non sarà nazionale ma per macroaree: Torino, Roma, Bari, Cagliari e Palermo dovrebbero essere le città prescelte.

IN REALTÀ PROPRIO GLI ULTIMI impegni inseriti notte tempo su giovani e donne per depotenziare le critiche della Cgil aprono le porte ad una Fase 3 della trattativa: la farà il prossimo governo portando la durata della trattativa a livelli da guinness dei primati: supererà i tre anni.

RICAPITOLANDO, I RISULTATI della Fase 2 sono questi. Dal 2019 i pensionandi esentati dai 67 anni di età sono i lavoratori delle 15 categorie considerate gravose: alle 11 già previste per l’Ape Sociale (operai dell’industria estrattiva e dell’edilizia; gruisti; conciatori; macchinisti; camionisti; infermieri con turni notturni; addetti all’assistenza di persone non autosufficienza; insegnanti di nidi e materne; facchini; addetti alle pulizie; operatori ecologici) si aggiungono – «per particolari indici di infortunistica e di stress da lavoro correlato» – altre 4 categorie: operai e braccianti agricoli, marittimi, addetti alla pesca, siderurgici. Nell’ultima versione sono stati aggiunti «i siderurgici di seconda fusione» (dizione che dovrebbe includere i lavoratori dell’Ilva) e «i lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature», categoria non propriamente estesa. Tutti questi lavoratori andranno in pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi (e con 42 anni e 10 mesi di contributi invece che 43 anni e 3 mesi). Sempre però che soddisfino i requisiti: 7 anni di mansione nei 10 anni precedenti il pensionamento e almeno 30 anni di contributi – una chimera per i lavoratori agricoli.

DI QUANTE PERSONE SI TRATTA? Nella «nota» non è specificato. Secondo la Cgil – non smentita dal governo – si tratta di poco più di 4 mila lavoratori che corrispondono al 3 per cento dei pensionandi del 2019: in pratica per il 97 per cento dei lavoratori – compresi metalmeccanici e turnisti – non cambia assolutamente niente.

L’altra norma che inciderà sulla legge di bilancio è quella che prevede «la parificazione della tassazione sui fondi di previdenza complementare per i dipendenti pubblici al livello di quelli privati», più basso di qualche punto.

QUANTO INVESTE IL GOVERNO in questo pacchetto? Anche questo non è dato sapere. «Non ci hanno risposto», hanno precisato i sindacati. Qualche giorno fa il consulente economico di palazzo Chigi – il renziano Marco Leonardi – parlava di 300 milioni in 10 anni che vanno rapportati ai 26 miliardi della Fase 1 (l’unica cifra citata nella «Nota»), mentre la Cgil stima che l’intervento in realtà costi solo 63 milioni nel triennio.

PER IL RESTO CI SONO SOLO IMPEGNI futuri a partire dal 2021. «La revisione strutturale del meccanismo di calcolo dell’adeguamento alla speranza di vita» sarà biennale e non più triennale e lo scatto avrà «un limite massimo di tre mesi» (ma questo era già previsto dalla riforma Fornero). Si prevedono poi due commissioni: una presieduta dal presidente dell’Inps Tito Boeri per «la rilevazione su base scientifica della gravosità della occupazioni» e una presieduta dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva sulla «comparazione della spesa previdenziale» per tentare di separare assistenza e previdenza, storica battaglia dei sindacati.

Su giovani e riconoscimento del lavoro di cura delle donne quindi ci sono solo impegni generici e «priorità alla discussione».

ALL’ULTIMO TAVOLO DI IERI mattina Paolo Gentiloni ha partecipato solo in parte -lasciando a Poletti la conferenza stampa. Il suo appello ai sindacati – «Più sostegno il pacchetto avrà dalle forze sindacali più sarà forte nel trovare spazio compiuto nella legge di Bilancio» – non ha sortito effetto. Per la Cgil permane «il giudizio di grave insufficienza rispetto agli impegni presi dal governo a settembre scorso su giovani e donne: è un’occasione persa, ci si muove per deroghe senza mettere in discussione un sistema iniquo senza toccare i risparmi prodotti dalla Fornero», attacca Susanna Camusso, certa che i lavoratori che hanno scioperato unitariamente in questi giorni «non sono assolutamente soddisfatti dei risultati ottenuti». A farle da contraltare c’è il giudizio «estremamente positivo» di Annamaria Furlan. Per farlo la leader Cisl ricorda anche ciò che c’è già nella legge di Bilancio «il ritorno al sistema Prodi di rivalutazione delle pensioni e ai 6 mesi di sconto a figlio per le donne che rientrano nell’Ape social». Giudizio positivo e «mezza firma» anche per la Uil: «Abbiamo aperto una breccia nella riforma Fornero, abbiamo ottenuto il massimo possibile nelle condizioni economiche date», spiega Carmelo Barbagallo.

L’UNITÀ SINDACALE SCRICCHIOLA ma non si rompe. «Andremo avanti insieme per ottenere il massimo nel contratto dei pubblici», spiega Furlan. «Ci sono forze in parlamento che vogliono migliorare questo testo», promette Barbagallo. La Cgil già annuncia «incontri urgenti con tutte le forze parlamentari».