«Un incontro post rientro insoddisfacente». La sintesi più efficace del fin troppo atteso tavolo sulle pensioni la fa Susanna Camusso. Perché se è vero che i sindacati si attendevano poche risposte, è altrettanto vero che una sola era quella rilevante: la richiesta di blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita che ad ottobre sancirà lo scalino di cinque mesi che scatterà dal primo gennaio 2019: da quel giorno si andrà in pensione a 67 anni. E su questo il ministro Giuliano Poletti continua a fare melina («L’Istat ad ottobre ci darà i termini della situazione») mentre Ragioneria generale e ministero dell’Economia hanno già fatto capire che «non se ne parla». E così sarà, almeno nel testo della manovra.

IL RAFFRONTO con la trattativa dello scorso anno è lampante: nel settembre 2016 Poletti arrivò al tavolo dicendo: «Abbiamo a disposizione 1,5 miliardi». Ieri e nei prossimi incontri non potrà farlo.
Ecco allora che i sindacati ieri hanno iniziato a mettere le mani avanti. In primis c’è l’ipotesi di una mobilitazione unitaria in caso di mancato inserimento del blocco (o congelamento) dell’adeguamento. La subordinata è una forma di pressione: forti di un fronte bipartisan lanciato dalla strana coppia Damiano-Sacconi ma con adesioni anche da Sinistra Italiana, Mdp, Forza Italia, Lega e M5s, ecco che Cgil, Cisl e Uil puntano ad ottenere il blocco nel passaggio parlamentare della manovra. «Siamo ottimisti rispetto al Parlamento e non vorrei che la cosa non giovasse all’aspettativa di vita del governo», ha avvertito Carmelo Barbagallo.

In più è stato il segretario confederale della Cisl Maurizio Petriccioli a chiedere «di rendere trasparente il meccanismo con cui l’Istat stabilisce i mesi, ad ottobre non può limitarsi a dare solo il dato senza circostanziarlo meglio».

L’UNICA PORTA APERTA lasciata dal governo è quella di un allargamento dell’Ape social per altre categorie disagiate riconoscendo anni di contributi figurativi al lavoro di cura delle donne, che infatti hanno presentato ben poche domande nella versione attuale dell’anticipo pensionistico per mancanza di anni di lavoro. Ma si tratta quindi di briciole rispetto alle richieste dei sindacati.

ALL’ORDINE DEL GIORNO della riunione di ieri però dovevano esserci soprattutto «le prospettive previdenziali dei giovani con carriere discontinue». E su questo fronte il nulla si sta materializzando. L’unica concessione fatta dal governo ai sindacati in vista della legge di bilancio appare l’abolizione degli automatismi previsti dalla riforma Fornero. Ad oggi chi è entrato al lavoro dopo il 1996 (contributivo puro) può andare in pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi solo se ha 20 anni di contributi e un assegno maturato pari a 1,5 volte l’importo sociale (fissato per il 2017 a 448,07 euro), mentre la pensione anticipata (che ha sostituito quella di anzianità) prevede che si possa lasciare il lavoro se oltre ad avere 63 anni e 7 mesi e 20 anni di contributi si ha maturato un assegno pari a 2,8 volte quello sociale.

Nel primo caso il governo è disponibile a diminuire la quota da 1,5 a 1,2 volte, ma si tratta di andare in pensione con un assegno da 537,68 euro: una vera miseria.

ACCANTO A QUESTA cancellazione c’è la proposta di far cumulare la pensione con una forma assistenziale («Sulla spesa assistenza la commissione Europea è meno rigida rispetto alla spesa pensionistica», spiegano dal governo) alzando la componente di cumulo dall’attuale 33 al 50 per cento. Per il resto il consigliere renzianoMarco Leonardi si è limitato a rinnovare l’idea del Rita: la rendita integrativa anticipata già prevista che consente un anticipo sui versamenti fatti al fondo di previdenza complementare: un altro prestito-miseria. I sindacati giudicano la proposta insufficiente e riproporranno l’idea di una pensione di garanzia sul modello della proposta di Michele Raitano: contributi ex post per garantire circa 900 euro a 66 anni di età.

SUI FUTURI TAVOLI già calendarizzati – oltre al 5 settembre sul lavoro, il 7 e il 13 settembre sulle pensioni con all’ordine del giorno il tema della rivalutazione delle pensioni – arriva la presa di posizione del segretario generale dello Spi Cgil Ivan Pedretti: «Se non otterremo risposte dovremo essere pronti a fare la nostra parte mobilitandoci».