Nonostante qualche professore stia cambiando idea, l’austerità previdenziale torna a farsi sentire in Europa e in Italia. A meno di quattro mesi dalla fine del flop Quota 100 e dal ritorno automatico della legge Fornero, il capitolo pensioni necessariamente inizia a prendersi spazio nello scenario politico e di governo.

Lunedì per la prima volta ne ha parlato il ministro Daniele Franco in parallelo con la presentazione del documento dell’Ocse. La scelta non è stata casuale: se l’organismo internazionale chiede di tagliare sulle pensioni, Franco si adegua prontamente ma riesce addirittura a sembrare meno pro austerità. Sulle prospettive del sistema previdenziale esistono «preoccupazioni di breve e medio termine – ha premesso Franco – ma siamo consapevoli che gruppi di lavoratori più anziani potrebbero affrontare difficoltà: sono aspetti che vanno valutati», ha ammesso Franco, aggiungendo di non volere «indicare soluzioni, fiducioso sul fatto che troveremo un equilibrio che sarà sostenuto da tutte le componenti della maggioranza», ha concluso.

IL DOCUMENTO DELL’OCSE sembra scritto direttamente dalla troika specie nel passaggio che chiede di tagliare «le pensioni di reversibilità permanenti», sostenendo che «non dovrebbero essere rese disponibili alle fasce fortemente al di sotto dell’età pensionabile»: una vedova – o un vedovo – 55enne senza lavoro, secondo l’Ocse, dovrebbe trovarsene uno, è scandaloso che abbia il 60% dell’assegno del coniuge defunto.

L’OCSE RAGGIUNGE LIVELLI tragicomici quando chiede di «ristabilire immediatamente la correlazione tra età pensionabile e speranza di vita», saltata con Quota 100. Un invito che risulterebbe solamente improvvido nel giorno in cui l’Istat ha rilevato che causa Covid in Italia l’aspettativa di vita è diminuita di un anno e due mesi. «Il governo, sempre attento alle indicazioni degli organismi internazionali, recepisca la proposta dell’Ocse e cominci a diminuire di un anno e due mesi l’età di accesso alla pensione», dichiara il segretario confederale della Uil Domenico Proietti. Consapevole però – come i lettori del manifesto – che a rendere impossibile la cosa è proprio la riforma Fornero che tornerà in toto dal primo gennaio 2022: l’adeguamento all’aspettativa di vita funziona solo per un innalzamento e non è previsto in caso di calo.

I SINDACATI DA PARTE LORO chiedono da mesi un confronto al governo ma finora lo hanno avuto solo una volta con il ministro Orlando che niente può fare senza avere il via libera del collega Franco. La Cgil però non demorde: «Dopo Quota 100 – sottolinea il segretario confederale Roberto Ghiselli – è necessario rendere più sostenibile socialmente il sistema, sulla base della piattaforma da noi presentata al governo. Il ministro Orlando – conclude Ghiselli – si era impegnato a convocare il sindacato nei primi giorni di settembre ed è grave che ancora non lo abbia fatto», conclude.

LA PROPOSTA dei sindacati è quella di una «flessibilità in uscita» dai 62 anni. Il primo a proporla nel 2013 fu l’ex ministro Cesare Damiano che a quasi 10 anni di distanza ha fatto proseliti: qualche giorno fa l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri ha rilanciato la proposta, non citando il promotore.

Lo stesso Damiano ora è stato chiamato da Orlando a presiede la commissione sui lavori gravosi. La prossima settimana presenterà una proposta di allargamento delle mansioni – almeno altre venti – che hanno come conseguenza una aspettativa di vita dei lavoratori molto più bassa della media e dunque dovrebbero entrare a far parte dell’Ape, l’anticipo pensionistico. Un allargamento sacrosanto, ma che non ha niente a che vedere con la flessibilità in uscita.

Sulla sua introduzione – assieme alla pensione di garanzia per i precari che non ha costi immediati – si misurerà il tasso di austerità del governo Draghi.