Ieri, a reti unificate, Vladimir Putin ha voluto mettere il suo suggello sull’innalzamento dell’età pensionabile dei russi. Proponendo però un sconto per le donne: invece dell’innalzamento da 55 a 63 anni il limite sarà 60 anni o 37 anni di contributi (per gli uomini resta inalterato l’innalzamento da 60 a 65 anni). Il presidente russo è stato costretto a prendere la parola dopo che l’opinione pubblica in tutto il paese aveva mostrato la sua netta contrarietà alla «riforma».

IN UN MESE il suo indice di popolarità è calato del 9% scendendo sotto la soglia critica del 50% e, malgrado la massiccia campagna della tv a favore della riforma, i sondaggi danno il 78% dei russi contrari al progetto di legge che attende di essere approvato in seconda lettura. Le stesse manifestazioni delle opposizioni, finora apparse narcotizzate dopo il plebiscito delle presidenziali di marzo per lo «Zar», sono state molto partecipate. Putin ha giustificato la «dolorosa necessità» con gli stessi argomenti cari ai neoliberali occidentali: l’aumento dell’aspettativa di vita, l’insostenibilità finanziaria del vecchio sistema, la solidarietà tra le generazioni.

A CUI HA AGGIUNTO però una nota storica sulla crisi demografica russa: «Questo è il risultato delle grandi perdite demografiche subite durante la Grande Guerra Patriottica (così i russi chiamano la Seconda guerra mondiale, ndr). Il periodo in cui la successiva generazione entrò nell’età adulta fu alla metà degli anni ’90 del secolo scorso. Ma è stato in quel momento che il paese ha dovuto affrontare una grave crisi economica, sociale, con conseguenze catastrofiche. Ciò ha determinato una seconda crisi demografica. Il crollo demografico della fine degli anni ’90 è stato paragonabile agli anni militari del 1943 e del 1944». Tutte vicende dolorosamente note ai russi a cui però si deve aggiungere la liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro voluta e realizzata proprio da Putin. Lo «sconticino» promesso ieri alle donne russe è una goccia in un mare diseguaglianze di cui proprio le donne subiscono i maggiori effetti.

«A MOSCA NEL SETTORE del commercio al minuto dove sono impiegate quasi solo donne i contratti non prevedono maternità o aspettative, il numero e lo standard qualitativo degli nido e degli asili resta molto basso. Si lavora a ritmi di 4×2 (quattro giorni di lavoro e due di riposo festivi compresi) e le ferie non sono pagate», denuncia il presidente della Confederazione dei Lavoratori Russi, Boris Kravcenko. «La crisi demografica russa non è solo un portato storico ma anche della scarsa natalità dovuta alle condizioni materiali delle donne», conclude il sindacalista.

Nei prossimi giorni, a partire dalle manifestazioni indette dai sindacati e dai partiti di sinistra russi, si vedrà come i russi hanno reagito al discorso di Putin che ha voluto indorare la pillola amara con la promessa di far raggiungere entro il 2024 alle pensioni medie il livello dei 300 dollari al mese (oggi solo 200) e far aumentare l’aspettativa di vita media a 80 anni per il 2030 (oggi solo 71).

Assieme alla carota tutta al femminile è però arrivato il bastone per l’opposizione interna. Sergey Udalzov, popolare leader del Fronte della Sinistra, è stato arrestato preventivamente per 30 giorni al fine di impedirgli di partecipare alla preparazione delle manifestazioni anti-riforma. Una decisione che Udalzov ritiene anticostituzionale. Entrato in sciopero della fame e della sete in segno di protesta è stato ricoverato nell’ambulatorio del carcere dove gli è stato imposto il nutrimento forzato via flebo.

IN TUTTA LA RUSSIA è in corso la mobilitazione per la sua liberazione. Arrestato l’altro ieri, sempre per 30 giorni, anche Alexey Navalny, il leader populista anti-corruzione che intendeva proclamare contro la «riforma» delle pensioni proprie manifestazioni separate da quelle di sinistra e sindacati.