Nell’ultimo libro Il pensiero istituente (Einaudi, pp. 238, euro 22) Roberto Esposito ha inserito la riflessione sull’istituzione che ha attraversato anche il pensiero giuridico (Santi Romano critico di Maurice Hariou) e quello filosofico (Gilles Deleuze, Cornelius Castoriadis o Claude Lefort in Francia, Arnold Gehlen o Elias Canetti nella cultura tedesca, Ubaldo Fadini in Italia oggi), in una griglia divisa in tre paradigmi di “ontologia politica”, considerati più generali rispetto al diritto o alla sociologia che avrebbero affrontato il problema dell’istituzione in maniera “regionale”. Nella prima “destituente” c’è la filosofia di Martin Heidegger; la seconda “costituente” è attribuita a Deleuze; nella terza c’è Lefort. Esposito valorizza quest’ultimo autore, ancora poco conosciuto in Italia, perché riconosciuto capace di coniugare una lettura della “relazione produttiva tra ontologia e politica” con una “prassi istituente realistica e innovativa”.

In questa lettura ontologica emerge comunque l’idea che l’istituzione è in primo luogo una prassi. È questo, oggi, l’interesse di una rinnovata riflessione sul momento istituente della politica. L’istituente è più ampio dello Stato. Quest’ultimo è l’esplicitazione di un movimento che crea e trasforma l’istituito e considera la società come un composto di convenzioni, non come un complesso di obbligazioni riconducibili ad un contratto sociale, giuridico o politico. L’istituente è un processo aperto che non coinvolge solo le istituzioni umane, ma tutto il vivente. Nel suo movimento il mondo culturale e quello naturale formano un insieme storico in trasformazione. Questo approccio diverge dal pensiero giuridico-politico moderno, come da quello della teologia politica, che separano l’umano dal naturale, assimilando il primo alla cultura e il secondo a un materiale da plasmare. Questo approccio ricorre nella teoria contrattualistica secondo la quale l’essenza di una società è la legge. Viceversa il pensiero istituente si sottrae all’idea che la società sia il prodotto di un’obbligazione, non aspira a trasformare il mondo secondo un’idea presupposta o un essere sostanziale.

Esposito sostiene che il pensiero istituente non è una creazione dal nulla, né una potenza destituente. È creatio ex aliquo: creazione a partire da qualcosa. Ci si trova sempre nel mezzo, si riprende una tela già tessuta. La società è già istituita, il potere istituente la trasforma e rigenera. Il pensiero istituente sviluppa una riflessione sulla società non come sistema di limitazioni legali e contrattuali, ma come invenzione istituzionale. Tale invenzione non è fine a se stessa, né l’espressione di una realtà speculativa che identifica l’essere con un concetto. Se siamo ex aliquo, se ci troviamo nel mezzo di qualcosa, allora non esiste il vuoto, ma una prassi.

Il pensiero istituente segnala una discontinuità rispetto alle coordinate del normativismo e del decisionismo giuridico che hanno isolato il “politico” in una metafisica del soggetto decidente. Non c’è un soggetto unico che cambia il mondo, né il mondo è la proiezione della sua volontà. C’è la “soggettivazione”, ovvero il movimento collettivo e storico dell’istituire. È importante la descrizione di questo movimento come “diritto”. Non il diritto inteso solo in senso istituzionale, statalistico o capitalistico, ma come giurisprudenza intesa come un campo di lotta sui singoli diritti e i loro rapporti con le istituzioni vigenti. Questa idea generativa della politica inserisce il diritto, come la stessa filosofia, in un movimento dove l’istituente è un momento della trasformazione di vita, conoscenza, azione e vivente in condizioni storicamente determinate. Si tratta di una nuova costellazione del pensiero dove la politica è considerata una tensione metamorfica alla comunanza, un altro modo di vivere politicamente e ecologicamente.