A poco più di un anno dalla sua apologia del fallimento, Teresa Macrì pubblica, sempre per i tipi di Postmedia Books, Pensiero discordante (pp.62, euro 9,90), un libro che rilancia la possibilità trasformativa dell’arte. Ancora una volta, la critica d’arte svolge un’analisi lucidissima su come la creazione intellettuale si disponga in antitesi alle vulgate conformiste dettate dal pensiero dominante, istruendo una difesa quanto mai necessaria al cospetto di una società imbarbarita.
Al cuore del nuovo saggio c’è l’esercizio del pensiero come atto di dissidenza. Il pensiero, secondo Macrì, in quanto estensione della propria soggettività e slancio verso l’altro, è già l’esplicitazione di un dissenso. Pensare implica l’elaborazione critica di quanto viene proposto dalla comunicazione, che è al tempo stesso di massa e personalizzata (sia essa politica, pedagogica, pubblicitaria), rifiutando quindi una sua semplice assunzione. «Chiunque pensa si dissocia – scrive l’autrice – si allontana, anche senza operare, dissente e apre lo spazio al giudizio».

IN UNA CULTURA SOCIALE sempre più sottomessa a quello che Gunther Anders aveva definito con sorprendente lungimiranza totalitarismo morbido, nelle maglie di un potere anestetizzante e polimorfo, contrabbandato per soddisfazione immediata del desiderio (comportando l’estinzione della sua pulsione dinamica), pensare è quindi il primo passo per una resistenza attiva.

A guidare questa ricognizione lungo le forme del pensiero discordante c’è naturalmente l’arte. Il rapporto dell’arte con il potere è sempre stato ambivalente, ora appiattito ai fini della propaganda ora dirompente come forza antagonista e come leva critica. A questa seconda declinazione, che ha il coraggio di esprimere il dissenso anche internamente al sistema stesso che la legittima (e talvolta la neutralizza), Macrì riconosce un vasto potenziale nella sollecitazione del pensiero autonomo. L’arte come divergenza si manifesta nella sua passione per il reale: introducendolo nell’esperienza estetica si smarca dalle categorie formali, dalle connotazioni dell’utile e del piacevole, dall’illusionismo e dal simbolico: l’impresa estetica mette in campo «una concatenazione di espedienti, probabilmente utopici, che la fa fuoriuscire dai preconcetti per produrre esperienza».

Sono in molti portare la fiaccola del pensiero discordante, soggettività ora smarrite ora consapevoli, profondamente avvertite di essere parte di una pluralità diasporica o caparbie nella loro solitudine. Macrì mette in evidenza una rete di riferimenti che lega le ricerche di autori profondamente diversi tra loro, tutti nati sotto Saturno, ma non tutti legati al mondo delle arti visive. Lungo questo orizzonte della decostruzione del pensiero dominante, cardinali sono le figure di autori meticci, insofferenti agli steccati disciplinari: come John Cage, musicista che ha sempre rigettato la definizione di ‘sperimentale’ nel nome di una ricerca eclettica che includeva ogni rumore e ogni dispositivo sonoro nell’esperienza intersoggettiva della musica. O come John Giorno che ha scardinato l’atto poetico contaminandolo e immergendolo nelle fibrillazioni del pop e dei nuovi mezzi di comunicazione.

NEL TESTO di Macrì si incontrano poi gli artisti Sislej Xhafa, Luca Vitone, Francis Alÿs e Bas Jan Ader; e vi si trova Luca Guadagnino la cui produzione cinematografica è definita dall’autrice come un’anomalia italiana, «l’icona simbolica della produzione indipendente». Il libro corre parallelo alla visione della mostra You Got to Burn to Shine (in corso fino al 7 aprile alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma), dove la curatrice ha introdotto il lavoro di questi autori in un’autentica esperienza di ridefinizione delle coordinate soggettive rispetto al sistema.