Accadde una notte: abbracci appassionati sull’erba, relazioni che non sopravvivono all’estate e altre che vanno avanti da anni, discorsi sulla gelosia e sul rapporto con i propri genitori. Momenti rubati che vanno a creare Un amour d’été, documentario di Jean François Lesage che verrà presentato il 5 marzo alle Giornate del cinema quebecchese in Italia di Milano. Il luogo in cui vengono immortalati questi momenti condivisi dai giovani di Montreal è un parco, il Mount Royal, in quella che sembrerebbe un’unica notte d’estate in cui tutto può succedere. Le notti di riprese in realtà sono molte di più, 22 spiega Lesage, ma al chiaro di luna e nell’unità di luogo i ragazzi sullo schermo sembrano tutti vicini gli uni agli altri. «La notte sparpaglia tutti i pensieri», recita una delle poesie che intervallano il film scritte dal poeta Jonathan Lamy. E di questo si tratta: pensieri sospesi e amori improvvisi, con la macchina da presa che raccoglie l’immediatezza dei rapporti, delle conversazioni anche senza interesse che assumono un significato in questo quadro notturno in cui è dipinta la sensazione di un momento. A contribuire all’atmosfera anche la decisione di non utilizzare illuminazioni artificiali: «Ho una camera molto sensibile alla luce e un bravo colorista», dice Lesage di questa scelta che, aggiunge, «mi piace molto perché è come dipingere con la luce su una parete bianca».

Jean-François Lesage, « Conte du Mile End »
Jean-François Lesage, « Conte du Mile End »

In passato ha citato una frase di Herzog: «Non credo nella verità del cinema vérité, credo nella verità estatica».

Tutto il materiale dei miei film proviene dalla realtà, ma è dopo che lo ho raccolto e mi trovo in sala di montaggio che mi sento veramente libero: di creare un’atmosfera, in questo caso quella di una sera d’estate . Che in termini formali è la mia verità estatica. Mi appassiona anche il modo in cui le persone si comportano in un documentario: possono essere autentiche oppure recitare. E secondo me recitano meglio nei documentari che nei film di finzione.

Come è nata l’idea di «Un amour d’été»?

Il progetto è nato nell’estate del 2013, in cui avevo il cuore spezzato ma a Montreal d’estate, dopo i lunghi e rigidi inverni che abbiamo qui, le persone sembrano impazzire: sono tutti felici e innamorati. Se non condividi questo sentimento generale ti senti ancora più depresso. Così ho pensato che dovevo assolutamente fare un film, che rispecchiasse questo stato d’animo.

Ha definito il suo lavoro documentario creativo.

La maggior parte dei documentari trattano dei temi politici, sociali. Una cosa importante e piena di significato, ma che non fa per me. Mi interessano le persone vere, le vere conversazioni in cui magari ci si interrompe e ci si parla sopra a vicenda. La definizione mi è stata data ad un Festival in Svizzera, ed è stato il momento in cui ho finalmente capito ciò che faccio.

La musica e le poesie sono parte fondamentale del film.

Poco prima di iniziare a girare stavo leggendo un libro di poesie di Lamy e la mia band preferita all’epoca erano i Gold Zebra. Così li ho contattati su Facebook e gli ho parlato del mio progetto. Hanno subito accettato di partecipare, e ho girato delle brevi sequenze per dare loro un’idea di ciò che avevo intenzione di fare. In base a quelle hanno iniziato a scrivere e comporre. La musica è particolarmente adatta al film, perché è «granulosa» come le immagini, tutta fatta con dei sintetizzatori degli anni Settanta.

Che rapporto ha stabilito con le persone filmate?

Passavamo la notte a girare perMount Royal e alle volte ci nascondevamo addirittura nei cespugli a spiare e riprendere le persone. Poi venivamo allo scoperto e chiedevamo se potevamo avvicinarci e continuare a girare, è capitato raramente di passare un’intera notte senza che qualcuno ci desse il permesso. Era comunque un rapporto nato ed esaurito nel momento, che non durava per più di un’ora.

Il documentario sembra essere stato girato in una sola notte.

Questo è il terzo film che giro interamente dopo il tramonto del sole e che all’apparenza sembra riconducibile a una sola notte, anche se ovviamente le riprese sono durate molto di più. Di notte le cose prendono forma molto meglio, quasi in modo più «denso». Per il prossimo film mi piacerebbe riuscire a girare solo in quel momento magico che precede il calare delle tenebre, ma sarà molto difficile, dato che dura troppo poco.