Se ci si chiama Penelope e di mestiere si fa la moglie, un simile nome può diventare piuttosto ingombrante, talvolta. Chissà se Penelope Clarke, moglie di Francois Fillon, nelle ultime settimane ha pensato al destino che si porta dietro quel nome. Da quando il marito è indagato per averla fittiziamente assunta come assistente parlamentare, mettendo così a rischio la propria corsa alla presidenza, lei ha dovuto uscire dall’ombra aggiungendo all’immagine di consorte discreta e obbediente quella di moglie dolente.
Nata Clarke (Penelope si definisce anglo-gallese), nel 1980, a 24 anni, sposa Fillon e insieme hanno 5 figli due dei quali, i più grandi, sono coinvolti nell’inchiesta per aver ricevuto incarichi pubblici pure quelli fittizi. Lei ha sempre tenuto un profilo basso e defilato, arrivando a dire che è una ragazza di campagna che avrebbe preferito continuare a vivere nella dimora di famiglia piuttosto che a Parigi e al centro della vita politica.

La dimora di famiglia è un castello nella Loira che, solo al primo piano, ha 14 stanze e altrettanti bagni, più 6 ettari di terreno. Il tutto è stato immortalato in un reportage di 8 pagine pubblicato da Paris Match nel 2013. Fillon ha detto che ha comprato quel maniero nel 1993 pagandolo 440mila euro e che ora ne vale 650mila, secondo lui.

Nei giorni scorsi, i media francesi hanno ripescato un’intervista che Penelope rilasciò nel 2007 al Daily Telegraph e nella quale dice, con molta tristezza, che ha ripreso gli studi universitari e che se non avesse avuto il quinto figlio avrebbe cercato un lavoro. Il lavoro gliel’aveva già trovato il marito, ben compensato e in due periodi (dal 1988 al ’90 e dal ’98 al 2002). Ne seguirà un terzo (dal 2012 al 2013). Possibile che potesse non saperne nulla, come ha ipotizzato nelle ultime ore Ségolène Royal? Se così fosse, Fillon risulterebbe ancora più indifendibile perché non solo avrebbe pagato la moglie con soldi pubblici per un lavoro non svolto, ma lo avrebbe fatto anche a sua insaputa, giustificazione che noi italiani conosciamo bene. Penelope, sempre nell’intervista al Telegraph, aggiunge che ha sempre seguito il marito nelle campagne elettorali, nei meeting, ha infilato volantini sotto le porte e che le è sempre piaciuto mettersi in fondo alla sala, durante i comizi di lui, per sentire i commenti della gente. Lui, dal canto suo, si è giustificato dicendo che non ci trova nulla di strano se un marito fa lavorare la moglie. È vero, ma se lo fa nel privato e con i suoi soldi.

Ora, è credibile che in una relazione così solidale, lunga 35 anni e 5 figli, il marito non dica alla moglie che l’ha assunta per aiutarlo nel lavoro di parlamentare e che sarà ben compensata? Se accettiamo l’ipotesi della Royal, e cioè che lui abbia fatto tutto a insaputa di lei, bisognerebbe spiegare perché i soldi sono passati dal conto di lei a quello di entrambi. Un secondo dopo, bisognerebbe domandarsi che ragazza di rapporto abbiano quei due sia sul lavoro che in casa. Ma la cosa che fa più impressione in tutta questa storia è il silenzio di lei che non ha detto una sola parola sul suo pseudo lavoro, sulle sue competenze, sulle mansioni svolte, non un fiato per difendere la propria dignità di assistente o quant’altro. Solo lui, il marito/datore/candidato, ha parlato, ovviamente assolvendosi.
La Penelope di Ulisse è diventata una figura universale per come difese il trono e il talamo dagli usurpatori, la moglie di Fillon rischia di essere ricordata come la silenziosa complice di un bugiardo e di una poco onorevole corsa all’arraffo. In ogni caso, se avessi una figlia ci penserei dieci volte prima di chiamarla Penelope.

mariangela.mianiti@gmail.com