Un anziano e ricco industriale farmaceutico (Josè Luis Gómez) vuole lasciare dietro di sé un segno indelebile, qualcosa che possa davvero rimanere. Sì, c’è una fondazione, con un magnifico edificio, teatro compreso, ma lui pensa a qualcosa di più. Un film, per esempio. Non ha problemi economici, vuole il meglio. Acquista i diritti di un bestseller, che non ha letto, sulla rivalità tra due fratelli, fa reclutare una regista forse bizzosa ma dal talento riconosciuto (Penélope Cruz) e due attori protagonisti che sono i più ambiti su piazza, uno è famosissimo, ha girato ovunque, è un cocco di Hollywood (Antonio Banderas), l’altro è il genio incorruttibile del palcoscenico, il maestro della recitazione (Oscar Martinez). Sono davvero bravi ma sul set portano non solo le loro capacità, ma due ego davvero ingombranti e conflittuali che scatenano tensioni. Sono agli antipodi. E la regista vuole alimentare questo antagonismo in funzione creativa.

LA STORIA di Competencia oficial è semplice, è cinema al quadrato, cinema sul cinema, cinema in divenire. Così, seguiamo le prove che si trasformano in un combattimento tra galli orchestrato dalle trovate singolari di chi dirige il duello. E sono situazioni comiche che provocano scintille (compreso un brillantissimo scambio di insulti da manuale).

I registi, Gastón Duprat e Mariano Cohn, anche autori della sceneggiatura, sono argentini, ci avevano già regalato un racconto acuto e ironico con Il cittadino illustre, ora si confrontano con il fare cinema in maniera altrettanto spiritosa. Certo, aiutati dalla produzione, che ha messo loro a disposizione dei mostri sacri come interpreti (raccontano di avere convinto Cruz e Banderas solo scambiando qualche idea), ma loro hanno saputo sfruttarli al meglio, giocando di complicità e frammenti di sarcasmo su un mondo, in ultima analisi, fatuo. C’è molta autoironia che gli interpreti hanno fatta propria, giocando su se stessi, sui luoghi comuni, su erotismo e sessualità. Penélope dopo essere stata fotografa con Almodóvar, ora è regista, incoronata con una chioma rossa e debordante, pronta a orchestrare buffe angherie nei confronti dei suoi due burattini. Antonio in fondo interpreta se stesso, ma all’occorrenza dimostra di essere non solo un attore di successo, bensì un ottimo interprete, così come Oscar che deve fare i conti con un personaggio dalla spocchia eccessiva e un’invidia repressa.
I festival sono terreno privilegiato per puntare su racconti che hanno a che fare con il cinema stesso, ma in questo caso l’autoreferenzialità (compresa la parodia delle conferenze stampa festivaliere e non solo) inventa momenti che strappano il sorriso, anche perché legati a risvolti imprevedibili e sorprendenti.