L’altro ieri la Corte d’appello di Genova ha ridotto le pene per quattro dei cinque imputati condannati l’anno scorso per i fatti del G8 del 2001: da otto a sei anni, da dieci a nove anni, da sette a sei anni… Riduzioni concesse per via di un’attenuante: l’avere agito sotto la suggestione della folla in tumulto. La notizia vera però è un’altra, e cioè che la vicenda processuale, per i fatti di Genova del 2001, ora è davvero conclusa e con un bilancio doloroso e imbarazzante. Da un lato abbiamo sentenze di valore storico: altissimi dirigenti di polizia condannati nel processo Diaz; decine di agenti e funzionari  riconosciuti colpevoli di falsi e maltrattamenti (sostanzialmente torture) nel processo Bolzaneto. Mai la magistratura italiana si era spinta tanto in là nel giudicare pezzi dello stato. Ma dall’altra parte ci sono verdetti che hanno il sapore della vendetta: dieci cittadini condannati a pene che tocca definire «esemplari», nel senso più deteriore del termine: fino a 14 anni per azioni magari deprecabili, certo contro la legge, ma che non hanno comportato alcun danno a persone. Senza equità non c’è giustizia e Genova G8, a questo punto, è un caso di ingiustizia.

Il bilancio, 12 anni dopo i fatti, è anche imbarazzante al pensiero della sorte toccata ai protagonisti dei misfatti di stato. Solo i massimi dirigenti di polizia imprevedibilmente caduti sul fronte della Diaz hanno subito conseguenze tangibili, sottoforma di sospensione dai pubblici uffici per cinque anni. Gli altri, a quel che si sa, sono ancora in servizio e sono sfuggiti anche alle dovute azioni disciplinari (le forze dell’ordine su questo punto tengono un rigoroso e antidemocratico riserbo: sembrano dimenticare d’essere organismi pubblici, composti da dipendenti dello stato). Il caso vuole poi che il corriere.it proprio in questi giorni abbia pubblicato un videoservizio sul ricorso alla Corte europea per i diritti umani presentato da alcune delle vittime dei maltrattamenti nella caserma di Bolzaneto, ricorso patrocinato da Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale (analogo ricorso è stato inoltrato per il caso Diaz). Ebbene, nel servizio si affronta il caso dei medici riconosciuti colpevoli – in via definitiva – dei maltrattamenti denunciati fin dal 2001 all’interno della caserma di Bolzaneto. Di uno, in particolare, si è parlato molto in questi anni, perché ricopriva il ruolo di responsabile sanitario della caserma-carcere. Il dottor Toccafondi, incredibile a dirsi, è tuttora in servizio e il presidente dell’Ordine dei medici di Genova, dottor Enrico Bartolini, interpellato nel video del corriere.it, ha spiegato con aria serafica che nessun procedimento disciplinare è al momento in corso. Quando sarà avviato? «Non lo so», ha risposto, «abbiamo 5 anni di tempo». Cinque anni di tempo dopo dodici di processo per fatti storici testimoniati da decine di persone? «Se noi vogliamo sì»: è la risposta che il dottor Bartolini ha dato, con una leggerezza che potrebbe apparire incosciente se non avesse alle spalle una solida prassi e un atteggiamento di sostanziale indifferenza per le attese di giustizia delle vittime degli abusi e dei cittadini tutti.

Il dolore è dunque il nostro: abbiamo «vinto» in qualche modo i processi Diaz e Bolzaneto ma ci sono persone in prigione con pene abnormi:  la loro sorte ingiusta è un pensiero che tormenta. L’imbarazzo dovebbe invece riguardare il cittadino comune e chi lo rappresenta nelle istituzioni per il nulla di fatto a tutti i livelli – politico, etico, professionale – seguito alle sentenze Diaz e Bolzaneto. Ma forse stiamo parlando di concetti – giustizia, dignità, democrazia – che non corrispondono più ad alcunché di concreto.

* Comitato Verità e Giustizia per Genova