Ancora qualche mese e per l’ex presidente Lula potrebbero finalmente aprirsi le porte del carcere in cui è rinchiuso da più di un anno. Riducendo la pena per il caso del triplex (l’appartamento di tre piani a Guarujá che non gli è mai appartenuto) da 12 anni e 1 mese a 8 anni, 10 mesi e 20 giorni, la quinta corte del Tribunale supremo di giustizia (Stj) ha dischiuso all’ex presidente la via per il cosiddetto regime semi-aperto (con l’unico obbligo di dormire in carcere) o per la detenzione domiciliare, una volta compiuto un sesto della pena, cioè tra settembre e ottobre.

UNA DECISIONE ADOTTATA all’unanimità dai quattro giudici chiamati a decidere sul caso, i quali – è chiaro – si sono precedentemente accordati sulla strada da prendere, negando a Lula il diritto di ottenere finalmente giustizia, ma marcando per la prima volta le distanze dalla sempre più screditata operazione Lava Jato.

Per l’ex presidente, condannato «per atti inderminati» (cioè senza prove), la via per la libertà non sarà in ogni caso una passeggiata. Non solo perché dovrà prima pagare una multa salata – benché ridotta anch’essa da 16 milioni di reais a 2,4 -, ma anche perché sul suo capo pende la spada di Damocle di una eventuale condanna in secondo grado – assai probabile – sul caso relativo alla tenuta di Atibaia, a São Paulo, per il quale è già stato condannato in primo grado a 12 anni e 11 mesi di prigione.

Anche in questo caso per un immobile non suo (la tenuta è di proprietà di Fernando Bitter, il figlio di un suo amico di lunga data) e senza che sia stata presentata alcuna prova sul pagamento di tangenti – sotto forma di ristrutturazioni dell’immobile – da parte delle imprese di costruzione Oas, Odebrecht e Schahin (in cambio, si presume, di contratti vantaggiosi con la Petrobras). Se infatti la Corte d’appello di Porto Alegre esaminasse il caso prima di settembre confermando la condanna, gli anni di pena stabiliti nei due processi verrebbero sommati e per il diritto al regime semi-aperto ci sarebbe da aspettare ancora a lungo.

Sempre però che, nel frattempo, come pure è probabile, il Supremo tribunale federale non si pronunci sulla questione dell’arresto dei condannati in secondo grado, riconoscendone l’incostituzionalità. Perché, in tal caso, la pena relativa al caso Atibaia non diventerebbe effettiva prima del passaggio in giudicato della sentenza.

LE VARIABILI, insomma, sono ancora troppe per capire se, al di là della scontatissima conferma della condanna anche nel terzo grado di giudizio, ci sia veramente qualcosa da festeggiare.

Nessuna soddisfazione ha sicuramente mostrato, dalla sua cella di Curitiba, l’ex presidente Lula, deciso a non uscire dal carcere per altra via che non sia quella del pieno riconoscimento della sua innocenza. L’ex presidente, ha riferito il dirigente del Pt Emídio de Souza, «non si aspettava nulla di positivo dal processo»: per lui il punto «non è la riduzione della pena, ma il fatto che una pena non dovesse proprio esserci». E benché i suoi legali abbiano già annunciato ricorso (presso la Corte suprema, l’ultima istanza che ancora rimane), la speranza, per Lula, si pone su un altro piano: «Allo stesso modo in cui sono stato processato politicamente, sarò liberato politicamente dalla lotta del popolo brasiliano». Per la prima volta, comunque, si riapre per lui la possibilità di tornare in un tempo ragionevole sulla scena politica, come sembra anche indicare l’autorizzazione concessagli dal presidente della Corte suprema Dias Toffoli a rilasciare interviste.

E, di fronte all’abisso in cui si trova attualmente il paese, non è certo una cosa da poco.