Pensare Venezia al futuro. E ricucire il senso di comunità non solo politica. «È indispensabile iniziare a lavorare per ridefinire il campo del centrosinistra, tanto più a Venezia. Dopo la sconfitta è franato tutto. Chi pensa ancora con i vecchi schemi che ci hanno fatto perdere è fuori strada. Serve un nuovo alfabeto soprattutto nel Pd, un partito ancora troppo chiuso, fragile», afferma Nicola Pellicani, 56 anni, giornalista, con 896 preferenze il più votato nel centrosinistra alle Comunali 2015, segretario della Fondazione intitolata al padre Gianni (figura di spicco del Pci-Pds veneziano).

Insomma, una “svolta” senza rimpianti?

Una lunga stagione di governo di centrosinistra a Venezia è conclusa. Bisogna decidersi a voltare pagina, partendo dalla consapevolezza che sinistra non significa conservazione, se mai l’esatto opposto. Dobbiamo mettere in campo nuove idee e soprattutto una nuova classe dirigente. Così è stato nelle stagioni migliori della vita politica cittadina. Basta pensare alla svolta delle giunte rosse negli anni ’70, o alle prime amministrazioni Cacciari. Il centrosinistra veneziano è figlio di quella tradizione, non può restare fermo. Altrimenti non costruiremo mai un’alternativa a Luigi Brugnaro.

La scelta drastica riguarda in particolare il Pd, vittima di un vero e proprio esodo di parlamentari e dirigenti?

È vero, la scissione a Venezia è stata molto pesante. Ora però il partito, cui mi sono iscritto due anni fa, deve ripartire. Ha la responsabilità di promuovere un progetto innovativo scegliendo con chiarezza, senza balbettare di fronte ai grandi temi: rigenerazione di Portomarghera, turismo e Grandi Navi, tutele sociali, scelte urbanistiche per la “città antica” e Mestre. Il Pd se non si apre alla società, restando prigioniero di logiche correntizie, è destinato a spegnersi un po’ alla volta. Emerge anche dall’ultima tornata elettorale: a Padova si vince ma con un calo preoccupante di consensi al Pd. A Venezia per costruire il futuro non basta dire no a Brugnaro, che dimostra sempre più la sua inadeguatezza. Non c’è opposizione, sento sempre più spesso. Dico di più: non c’è più il centrosinistra, va ricostruito prima che sia troppo tardi un luogo di confronto e incontro con i cittadini. L’opposizione si fa in Consiglio comunale, ma soprattutto fuori, rimettendosi in connessione con la città, tessendo reti e relazioni. Solo con questo percorso il Pd potrà tornare ad essere protagonista a Venezia, altrimenti sarà condannato alla marginalità.

E il «laboratorio» è Festival della politica organizzato dalla Fondazione Pellicani dal 6 al 10 settembre, dedicato al «disordine globale»?

Parlare di politica oggi mi pare quasi una necessità: grandi migrazioni, nuovi assetti determinati dall’elezione di Trump, dalla Brexit, dal fenomeno Macron. Ma è fondamentale ridare credibilità alla politica. La settima edizione del Festival si svolgerà come sempre nelle piazze di Mestre e comincia con l’anteprima dedicata ai cent’anni di Portomarghera con i segretari di Cgil, Cisl, Uil e il sindaco, Gianfranco Bettin e Cesare De Michelis. Un’occasione per ripercorrere le storie dell’industria, del lavoro, del porto e insieme per pensare, appunto, alla città futura. Partecipano personalità di diversa estrazione da Massimo Cacciari, Ezio Mauro, Ilvo Diamanti a Ferruccio De Bortoli, Emanuele Macaluso, Angelo Panebianco, con uno spazio dedicato a Dostoevskij curato da Antonio Gnoli, la sezione su fumetti e politica affidata a Giulio Giorello e Pier Luigi Gaspa, gli appuntamenti filosofici con Massimo Donà che si estendono al cibo e al vino.

Ma la Fondazione, invece, cosa offre alla politica?

Da dieci anni ragiona sulle prospettive di sviluppo economico e sociale dell’area veneziana. A giugno abbiamo presentato il frutto di un paio d’anni di lavoro, lo studio «Pensare Venezia» che sviluppa la riflessione sulle potenzialità della Città metropolitana focalizzando il ragionamento su beni comuni, casa, federalismo fiscale, welfare, periferie, inclusione sociale, ambiente, lavoro, partecipazione, ricerca, condivisione, sistema sociosanitario. Le parole chiave attorno a cui immaginare nuove politiche per la Città Metropolitana. Per citare due esempi, non possiamo rassegnarci all’idea di Venezia trasformata in Disneyland e Mestre in periferia «dormitorio turistico». D’altro canto, abbiamo il sesto porto italiano che movimenta 560 mila containers e il terzo aeroporto dopo Roma e Milano con oltre 11 milioni di passeggeri. Credo sia impossibile non immaginare il futuro della città in chiave europea. Una prospettiva possibile solo allargando i confini metropolitani, non certo restringendoli, separando il Comune, come qualcuno vorrebbe, riproponendo per la quinta volta il referendum. Un’idea miope che finirebbe solo per indebolire Venezia e Mestre.