E’ rinnovabile, economico ed è pure romantico: scaldarsi con il calore del legno ha un fascino atavico al quale è difficile resistere, soprattutto da quando (dal 2012) è incentivato dal Conto Termico come fonte energetica rinnovabile. Se poi la generazione di calore o di energia da biomassa sia sostenibile ed ecologica, dipende da come sono organizzate le filiere, dall’uso di tecnologie più o meno avanzate, dalla buona installazione e manutenzione degli impianti, dalla qualità e dalla provenienza della biomassa utilizzata, e anche dalla perizia e dal virtuosismo di chi la usa.

Che sia in forma di pellet (segatura di legno pressata), cippato (scaglie di legno) o legna a ciocchi, il riscaldamento a biomasse solide offre sia vantaggi economici, perché costa meno di gas e gasolio (sulle biomasse non si pagano neppure le accise), sia vantaggi nella lotta ai cambiamenti climatici, perché nel calcolo delle emissioni climalteranti quelle da biomasse rinnovabili non vengono calcolate. Si assume infatti che le biomasse abbiano sottratto all’atmosfera con la loro crescita quantità di carbonio equivalenti alle emissioni che provocano con la loro combustione, quindi sarebbero carbon neutral (anche se il dibattito su questa questione rimane aperto).

PERÒ, SUL FRONTE DELLA QUALITÀ DELL’ARIA, il riscaldamento a biomassa pone ancora seri problemi perché circa la metà delle polveri sottili che inaliamo – i famigerati PM 2.5 e PM 10, detti anche particolati – viene generata dalla combustione del legno, insieme ad altri componenti tossici come gli idrocarburi policiclici aromatici. Polveri sottili per le quali l’Italia è stata più volte condannata dall’Ue per aver superato per troppi giorni le soglie di attenzione. Lo smog non fuoriesce solo dai tubi di scappamento o dalle ciminiere, ma anche dalle canne fumarie di camini, stufe e caldaie alimentati a legna, utilizzati da una famiglia su 5 in Italia (Istat, 2014) per un totale di 11 milioni di apparecchi, di cui 2,6 milioni sono a pellet. Questi ultimi sono considerati i migliori in termini di efficienza: rendono fino al 90% (un caminetto aperto il 15%), quindi garantiscono una migliore combustione, che significa minori emissioni. Però le stufe domestiche non sono dotate di sistemi di abbattimento delle polveri, che costerebbero quanto la stufa stessa.

«SOLO NEGLI ULTIMI ANNI si è acquisita consapevolezza dell’impatto negativo dei piccoli impianti a legna sulla qualità dell’aria – ammette Stefano Caserini, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano – però la legna viene ancora percepita dalle persone come qualcosa di naturale, ecologico, mentre comporta seri problemi per l’inquinamento, soprattutto quando la combustione non avviene in modo corretto, per esempio quando la massa legnosa è in eccesso rispetto all’aria. Certo, scaldarsi con il pellet è un grande passo avanti rispetto al ciocco di legna in un caminetto aperto, anche se, rispetto al gas, la quantità di inquinanti emessa è sempre maggiore. Siccome sono milioni in Italia le famiglie che si riscaldano con varie tipologie di stufe a legna, è necessario sostituire al più presto le vecchie stufe e i camini aperti con stufe tecnologicamente più avanzate ed efficienti che possano diminuire le polveri sottili».

PER CORRERE AI RIPARI da ottobre 2018 è entrato in vigore in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (la zona europea che detiene il triste record delle polveri sottili) l’accordo Bacino Padano che introduce l’obbligo di alimentare gli impianti a pellet solo con pellet di categoria A1 (certificazione UNI EU ISO 17225) e il divieto di installare stufe a pellet con classe inferiore a 3 stelle e di continuare ad usare quelli con classe inferiore a 2 stelle. Inoltre, dal primo gennaio 2020 sarà vietato installare impianti a pellet di classe inferiore a 4 stelle e di usare quelli con classe inferiore a 3 stelle. L’accordo prevede anche il divieto di incentivazione di installazione di impianti termici a biomasse legnose nelle zone nelle quali risultano superati i limiti di concentrazione del PM 10 e del benzo(a)pirene.

Inoltre, nel Conto Termico 2019 sono stati rinnovati gli incentivi per sostituire le stufe di vecchia generazione con apparecchi più efficienti. Secondo Massimiliano Varriale, consulente energetico del Wwf, «siamo sulla strada giusta, nel nuovo Conto Termico sono stati introdotti dei correttivi che rendono il meccanismo di incentivi e sgravi più rigoroso perché ora serve una certificazione ambientale per avere certezza dell’efficienza degli apparecchi. Svecchiare gli impianti è più che necessario, il che non vuol dire invitare a passare alle biomasse solide, ma migliorare gli impianti esistenti, soprattutto nelle zone non metanizzate e dove la biomassa è disponibile: il futuro è nelle energie rinnovabili».

LE RINNOVABILI SONO TANTE, oltre le biomasse solide per il riscaldamento esistono le pompe di calore, gli apparecchi a bassa entalpia, il solare termico, tutte opzioni per abbattere le emissioni che influiscono sul clima e sulla qualità dell’aria. L’obiettivo è decarbonizzare l’atmosfera e chiudere con le energie fossili, anche con il gas. «È vero che il gas ha performance ambientali migliori del gasolio o anche delle biomasse – spiega Varriale – ma dobbiamo pensare al gas come a un combustibile di passaggio verso le rinnovabili, quindi qualcosa che già appartiene al passato: per questo noi riteniamo del tutto sbagliato investire in nuove infrastrutture per il gas, come la Tap o la metanizzazione della Sardegna, che legherebbero per altri 30 anni almeno l’Italia all’uso di energie fossili».

Sull’uso delle biomasse solide l’Italia presenta una serie di paradossi: pur essendo le stufe a pellet un’eccellenza del made in Italy (il 70% di quelle vendute in Europa è italiano), pur avendo i più alti consumi di pellet per uso residenziale al mondo, e pur avendo un manto forestale in continua espansione, produciamo solo il 15% del pellet che consumiamo (mezzo milione di tonnellate) e il resto lo importiamo da mezzo mondo (2,7 milioni di tonnellate).

Il pellet – come del resto tutte le biomasse solide – per garantire il massimo della sostenibilità dovrebbe provenire da filiere corte locali. «Gli impianti a biomassa vanno fatti là dove la biomassa legnosa c’è – spiega Varriale – una comunità montana può ragionare su una caldaia a cippato o a pellet, che alimenti un sistema di teleriscaldamento, un impianto abbastanza grande per poter avere un filtro anti-particolato sarà sicuramente molto meno inquinante di tante piccole caldaie individuali: naturalmente il riscaldamento si pagherà a consumo, per incentivare comportamenti virtuosi ed evitare l’effetto rebound, ovvero l’aumento dei consumi ogni volta che si introducono sistemi più efficienti».