«I preti pedofili sono come i camionisti che molestano le autostoppiste, ma non credo che i dirigenti della ditta di trasporti possano essere considerati responsabili delle azioni dei loro autisti». È il paragone che il cardinale George Pell ha utilizzato anni fa di fronte ai magistrati della Commissione d’inchiesta istituita dal governo australiano per indagare sugli abusi sessuali commessi sui minori in tutto il Paese (non solo da uomini di Chiesa) per discolparsi dalle accuse di aver coperto alcuni preti pedofili quando era vescovo di Melbourne.

Un paragone che mescola cinismo, machismo e omofobia e che rivela la natura profonda di un cardinale che in molti, nei sacri palazzi, chiamano «Pell-Pot», non perché sia un estimatore del dittatore cambogiano, ma per i suoi modi spicci e rudi.

Nato nel 1941 a Ballarat (nello Stato di Victoria, Australia), prete nel 1966, nel 1987 è vescovo di Melbourne, prima come ausiliare e poi, dal 1996 al 2001, come titolare. È in particolare per questo periodo che, anni dopo, verrà indagato dalla Commissione d’inchiesta governativa, perché avrebbe insabbiato molti casi di abusi sessuali su minori commessi da preti della sua diocesi.

Nel 2001 viene promosso arcivescovo di Sydney da papa Giovanni Paolo II, che nel 2003 lo crea anche cardinale.
Ma è con papa Francesco che la carriera di Pell fa un balzo in avanti. Appena eletto pontefice, Bergoglio lo nomina membro del Consiglio dei cardinali (il cosiddetto C9, che frattanto, oggi, è ridotto a sei cardinali), un organismo che ha il compito di coadiuvare il papa nel governo della Chiesa universale e di elaborare un progetto di riforma della Curia romana che, ad oggi, tranne alcuni piccoli ritocchi, ancora deve vedere la luce. Pell ne fa parte fino allo scorso 12 dicembre, quando viene sollevato dall’incarico, ufficialmente per motivi di età (gli incarichi curiali vengono lasciati a 75 anni), più probabilmente perché dall’Australia era arrivata la notizia della condanna per pedofilia, resa pubblica ieri.

Nel febbraio 2014 lo nomina primo prefetto della neonata Segreteria per l’economia, una sorta di superministero delle finanze vaticane, le cui competenze tuttavia verranno gradualmente ridotte nel corso del tempo. Una nomina che desta molte perplessità, anche fra i sostenitori di papa Francesco. Sia perché le notizie sul coinvolgimento di Pell in casi di pedofilia – senza condanne – erano già note. Sia perché il profilo del cardinale australiano è quello di un ultraconservatore, vicino all’Opus Dei – sebbene non appartenente alla Prelatura fondata da Escriva de Balaguer – e amante delle messe in rito tridentino dei cattolici tradizionalisti.

Ma di lui, dopo l’epoca bertoniana pressappochista e degli “amici degli amici”, sono apprezzate le doti di grande organizzatore finanziario, più fedele al vangelo liberista di Margaret Thatcher che a quello di Gesù Cristo. «Se bisogna aiutare i poveri – spiegava in un’intervista alla Cns, ripubblicata dall’Osservatore romano –, dobbiamo avere i mezzi per farlo. E meglio gestiamo le nostre finanze, più opere buone possiamo svolgere». La stella polare è la parabola evangelica del buon samaritano, secondo l’interpretazione non di qualche teologo ma della lady di ferro. «Ricordo il commento della Thatcher – diceva Pell –: se il buon samaritano non fosse stato un po’ capitalista, se non avesse accumulato dei soldi, non avrebbe potuto aiutare il prossimo. Anche noi possiamo fare di più se produciamo di più».