Riprendersi le piazze, lasciate finora nelle mani dell’estrema destra bolsonarista. E riprendersele malgrado la pandemia, di cui il Brasile è il nuovo epicentro mondiale, superando anche l’Italia per numero di morti. Perché se il Covid-19 fa paura, spaventa ancora di più l’escalation autoritaria del governo Bolsonaro, responsabile di una crisi che è insieme sanitaria, economica, politica, ambientale e sociale.

È così che, dopo gli atti in difesa della democrazia di domenica scorsa, repressi dalla polizia militare a colpi di gas lacrimogeni, oggi il paese si prepara nuovamente ad assistere alle manifestazioni anti-governative convocate – da São Paulo a Rio de Janeiro, da Belo Horizonte a Salvador – da gruppi antifascisti legati al tifo organizzato, dal Frente Povo Sem Medo guidato da Guilherme Boulos e dai movimenti afrobrasiliani.

TUTTI «FUORILEGGE», «terroristi», «sballati» e «fannulloni», secondo le definizioni che ne ha dato Bolsonaro, invitando i suoi sostenitori a non scendere in strada e suggerendo l’impiego della forza nazionale di sicurezza per affrontare eventuali tumulti.

 

 

(foto Ap)

 

Quanto sia forte la preoccupazione di scontri tra manifestanti pro e contro il governo, in seguito a quelli avvenuti già la scorsa domenica, lo indica bene la decisione del Tribunale di giustizia di São Paulo, che, dopo gli infruttuosi tentativi di convincere gli organizzatori di entrambi i lati a manifestare in giorni separati o in luoghi distinti, ha disposto per oggi il divieto di promuovere atti di protesta nell’Avenida Paulista.

NON SI TRATTA, IN OGNI CASO, di una manifestazione unitaria da parte dell’opposizione, che anzi, in buona parte, ne prende le distanze, per ragioni tanto sanitarie – in un momento in cui si registra un morto di Covid ogni minuto – quanto politiche.

Non senza divisioni interne ha scelto di sostenerla il Partito dei lavoratori, che, in una nota, raccomanda ai militanti di indossare le mascherine e di mantenere la distanza di sicurezza, ma anche di non cedere alle provocazioni e di isolare eventuali infiltrati.

«La democrazia non può subire intimidazioni», dichiara il Pt, riaffermando il proprio impegno a favore della Costituzione e delle istituzioni democratiche e respingendo qualunque tentativo di criminalizzare i movimenti in difesa della democrazia al fine di «normalizzare il progetto neofascista e autoritario dell’attuale governo». Se ciò avvenisse, ha ricordato da parte sua il leader del Psol Guilherme Boulos, «presto non potremo più uscire di casa».

È LA RISPOSTA all’accorato articolo dell’antropologo Luiz Eduardo Soares, il quale, ricordando le parole di Eduardo Bolsonaro – la rottura è decisa, si attende solo l’occasione – aveva messo in guardia dal rischio che le proteste potessero essere usate dagli infiltrati per provocare atti di violenza tali da giustificare un intervento militare. Un allarme condiviso dall’opposizione moderata e di destra al Senato, che ha invitato a non offrire al governo «proprio quello che cerca»: l’ambiente favorevole ad azioni autoritarie.

NON CI SARANNO NEPPURE i promotori dei manifesti a favore della democrazia che sono circolati negli ultimi giorni, decisi a evitare assembramenti in piena pandemia, mentre resta acceso il dibattito sulla più nota di tali iniziative, quella del Manifesto Juntos. La mancata firma di Lula ha infatti dato risalto ai limiti di una proposta che non solo non cita Bolsonaro, ma neanche parla dello smantellamento in atto dei diritti dei lavoratori. «Tentano solo di rieducare Bolsonaro – ha denunciato Lula -, ma non vogliono rieducare Guedes», l’ultraliberista ministro dell’Economia.