Il Partito socialista ieri ha già chiuso un accordo con Ciudadanos, il partito di destra che in realtà avrebbe voluto una gran coalizione con il Pp. È il primo accordo definitivo a cui è arrivato Pedro Sánchez. Ma è un accordo poco più che simbolico, che non è sufficiente a garantirgli il governo. Questa è l’unica notizia ufficiale alla chiusura del giornale. Ma la giornata di ieri – simbolicamente proprio quella in cui si celebrava l’anniversario del colpo di stato della giovane Spagna democratica il 23 febbraio del 1981 – è stata frenetica, con una girandola di riunioni dietro le quinte.

In mattinata, Ciudadanos ha reso pubbliche le cinque richieste per poter appoggiare Sánchez, che nel pomeriggio le ha accettate senza problemi e le presenterà oggi alla direzione del partito. Si tratta in sostanza di una riforma express della costituzione per la «rigenerazione democratica», la parola-chiave dei nuovi partiti emersi dalle elezioni del 20 dicembre. Le misure previste dall’accordo sono l’abbassamento del numero di firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare (da 500mila a 250mila), l’abolizione delle diputaciones, una divisione amministrativa di coordinazione fra le province e i comuni, la soppressione dell’immunità parlamentare (estesa in Spagna a politici di tutti livelli amministrativi e ai magistrati), la “spoliticizzazione” della giustizia – che di fatto riduce da 20 a 10 le nomine dell’equivalente del Csm, qui fortemente dipendente dalle maggioranze parlamentari – e la limitazione a 8 anni di mandato per il presidente del governo (ma qui nessun presidente li hai mai superati). Si tratta di misure poco più che simboliche, e facilmente accettabili da tutti, tanto più che erano quasi tutte presenti anche nel programma dei socialisti. E proprio questa genericità delle proposte indirettamente conferma il sentire comune: il governo ci sarà.

Podemos invece si è riunito con i due partiti indipendentisti catalani la cui astensione è chiave per l’investitura. A loro ha assicurato che nel programma ci sarà il referendum d’autodeterminazione da loro tanto desiderato, ma che però i socialisti non vogliono.

Dopodiché, alle 7 di sera i quattro partiti di sinistra (Psoe, Podemos, Izquierda Unida e gli alleati valenziani di Podemos, Compromís) si sono rimessi a parlare dopo la prima riunione fiume di lunedì. Il celestino della riunione era stato il leader di Izquierda Unida Alberto Garzón che era riuscito a inchiodare a un tavolo di negoziazione Psoe e Podemos (anche se senza i rispettivi leader). Un’iniziativa che è riuscita a sbloccare la situazione di scontro fra socialisti e Podemos e a cui probabilmente andrà il merito di portare a casa un governo di sinistra. Nella riunione lunedì si erano affrontati cinque blocchi programmatici in maniera sistematica e l’ottimismo nelle conferenze stampa notturne era palpabile, anche se lunedì non erano ancora stati affrontati i nodi più noti, come quello territoriale. Quella di ieri, dopo una giornata convulsa, si è chiusa molto dopo l’orario di chiusura del giornale. Ma il tempo ormai stringe, e oggi sarà chiaro se con l’astensione di Ciudadanos da una parte e l’accordo a quattro partiti di sinistra dall’altra, Sánchez riuscirà a portare a casa l’investitura, anche senza le astensioni – che i socialisti non vogliono neppure prendere in considerazione – delle catalane Esquerra Republicana i Democràcia i Llibertat. I partiti di sinistra arrivano a 161 voti. Dovrebbero arrivare anche i voti dei baschi del Pnv, che devono un favore ai socialisti per aver permesso la formazione del gruppo al senato, e della deputata di Coalición canaria. Totale: 168. Se Ciudadanos si astiene, il Pp – l’unico partito tenuto fuori dalle girandole di incontri – ha 123 seggi. Anche se tutti gli altri votassero contro, Sánchez ce la farà. Per Podemos «l’accordo dei socialisti con Ciudadanos è irrilevante, se arriviamo a un accordo con il Psoe voteremo sì, altrimenti non c’è governo», come avvertiva ancora una volta Íñigo Errejón, il numero due dei viola. Intanto la data dell’investitura si anticipa di un giorno: l’1 marzo invece del 2 per un errore di calcolo del presidente del Congresso.