«Mi dimetto. Mi assumo la corresponsabilità della catastrofe degli abusi sessuali perpetrati dai rappresentanti della Chiesa negli ultimi decenni. La Chiesa è arrivata a un punto morto e anche io ho fallito». Ci pensava da oltre un anno e il 12 maggio lo aveva anche comunicato per iscritto a papa Francesco, eppure il passo indietro annunciato ieri alle 14 in conferenza stampa dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, storico presidente della Conferenza episcopale nazionale, è clamoroso quanto basta a scioccare i 22 milioni e mezzo di cattolici tedeschi che si ritrovano con la Chiesa decapitata.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso di Marx è stato lo studio congiunto degli istituti di ricerca di Mannheim, Heidelberg e Giessen presentato ai vescovi nel 2018. Dopo avere esaminato oltre 38.000 casi dal 1946 al 2014 sono giunti alla conclusione che almeno 3.677 minori sono stati abusati da 1.670 religiosi. Un numero al di là di ogni immaginazione, inaccettabile per Marx, tanto più se «soltanto dopo il 2002 e in modo più deciso nel 2010 sono emersi i responsabili degli abusi sessuali» a causa «anche di miei errori personali». Per questo l’arcivescovo si assume la croce della «trascuratezza e del disinteresse per le vittime che è stata certamente la nostra più grave colpa nel passato», come spiegava tre settimane fa a Bergoglio.

A sentire Marx dopo l’esplosione dello scandalo-pedofilia sono stati fatti «molti passi in avanti ma non siamo ancora arrivati alla fine. Non è sufficiente reagire solamente quando si riesce a individuare, sulla base degli atti, i singoli responsabili e le loro omissioni». E tanto meno «si può semplicemente relegare le rimostranze al passato e ai funzionari di allora, in modo da seppellirle».

Frasi durissime, sintomatiche dell’impotenza come del rimorso di Marx «perché nella Chiesa le persone non hanno sperimentato la salvezza ma il disastro». Parole di «un prete da 42 anni e vescovo da quasi 25, venti dei quali passati come ordinario di una grande Diocesi» che si rende conto «con dolore quanto sia scemata la stima nei confronti dei vescovi», anzi, «probabilmente ha raggiunto il suo punto più basso». Il porporato non salva niente del passato e ben poco del presente, anche se indica il modo per chiudere il capitolo più buio del cattolicesimo non solo tedesco: «Il punto di svolta per uscire da questa crisi può essere unicamente la “via sinodale” che permette il discernimento degli spiriti, come il Santo Padre non ha mancato di sottolineare nella sua Lettera alla Chiesa in Germania».

Non sono bastati dunque gli emissari inviati oltralpe dal papa per verificare gli ultimi abusi né il recente inasprimento del Diritto penale vaticano sulla disciplina obbligatoria per i religiosi. Infatti Bergoglio la settimana scorsa ha dovuto concedere il via libera alla pubblicazione della lettera di dimissioni che Marx aveva cominciato a scrivere contestualmente alla richiesta di essere ricevuto in Vaticano. Alla missiva, secondo la Süddeutsche Zeitung, Francesco aveva risposto che ci doveva pensare. Ma le improvvise dimissioni di Marx sono solo la punta dell’iceberg dell’insanabile frattura tra la Chiesa tedesca e il Vaticano, con la prima che si ostina a chiedere riforme vitali per i fedeli in Germania e il secondo che le considera al pari di uno scisma.

E la «risposta personale» di Marx, come la definisce il presidente della Conferenza episcopale, Georg Bätzing, non chiude certo il capitolo degli abusi sui minori ma si limita a certificare, anche a ragione, il capro della Chiesa obbligato all’espiazione. Ovvero a colpire «l’uomo sbagliato, che ha fatto conquiste rivoluzionarie in Germania», per dirla con il presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, Thomas Sternberg, «profondamente scioccato per le dimissioni che, se verranno accettate dal papa, priveranno i cattolici tedeschi della loro personalità più importante».