Lo scandalo, anzi il crimine della pedofilia arriva direttamente in Vaticano, varca le mura leonine e colpisce uno dei cardinali più potenti della Curia romana – il numero tre della gerarchia cattolica – e uno dei prelati più vicini a papa Francesco.

La County Court dello Stato di Victoria, in Australia, con un verdetto unanime dei 12 membri della giuria, ha condannato il cardinale George Pell per aver commesso abusi sessuali su due ragazzi di 12 e 13 anni, che facevano parte del coro della cattedrale di Saint Patrick di Melbourne, diocesi di cui lo stesso Pell era vescovo, nel 1996. La sentenza, emessa in realtà lo scorso 11 dicembre, era stata secretata dal tribunale per non influenzare un secondo processo per pedofilia a carico di Pell che avrebbe dovuto concludersi in primavera. Ma essendo state ritirate le accuse, nella giornata di ieri è stata resa pubblica. Oggi o nei prossimi giorni verrà comunicata l’entità della condanna. Pell, che continua a dichiararsi innocente, rischia una pena detentiva di molti anni di reclusione. Gli avvocati del cardinale hanno già annunciato il ricorso in appello.

LA SANTA SEDE e la Conferenza episcopale australiana camminano su un filo. Da un lato Roma ha “costretto” Pell a sottoporsi al giudizio penale in Australia, senza proteggerlo o nasconderlo in Vaticano; e lo scorso 12 dicembre, all’indomani della sentenza di condanna – di cui evidentemente era giunta notizia in via riservata –, Francesco lo ha estromesso dal Consiglio dei cardinali che sta lavorando alla riforma della Curia romana, con la motivazione dei sopraggiunti limiti di età. Dall’altro, però, mantenendo un atteggiamento oltremodo garantista, lo ha formalmente mantenuto alla guida della Segreteria per l’economia – il ministero delle finanze di Oltretevere –, con la formula del «congedo»: Pell conserva il ruolo di prefetto del dicastero economico vaticano, sebbene non sia più operativo dall’estate del 2017.

In Vaticano, in fondo, sperano ancora che il processo di appello ribalti la sentenza di primo grado, come si evince dalla dichiarazione rilasciata ieri dal direttore ad interim della sala stampa, Alessandro Gisotti, appena appresa la «notizia dolorosa» della condanna. «Ribadiamo il massimo rispetto per le autorità giudiziarie australiane», ha comunicato il portavoce della Santa sede, e «attendiamo l’esito del processo d’appello, ricordando che il cardinale Pell ha ribadito la sua innocenza e ha il diritto di difendersi fino all’ultimo grado».

NEL FRATTEMPO A PELL, informa la nota vaticana, «in attesa dell’accertamento definitivo dei fatti», resta «proibito in via cautelativa l’esercizio pubblico del ministero e, come di norma, il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età». Cioè non potrà celebrare messa in pubblico e dovrà tenersi a debita distanza da bambini e adolescenti. Per eventuali provvedimenti canonici di decadenza da cardinale o di dimissione dallo stato clericale – come recentemente avvenuto per Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, condannato per pedofilia da un tribunale statunitense e “spretato” dalla Congregazione per la dottrina della fede, dopo che Francesco gli aveva ritirato la berretta cardinalizia – in Vaticano vogliono attendere gli ulteriori gradi di giudizio. Magari con la speranza, come avvenuto pochi mesi fa, sempre in Australia, dove l’ex arcivescovo di Adelaide, monsignor Phillip Wilson, condannato in primo grado ad un anno di reclusione per aver coperto un prete pedofilo, è stato poi assolto in appello dai giudici della Corte distrettuale di Newcastle, a nord di Sydney.

LA SENTENZA di condanna per il cardinale Pell arriva all’indomani del summit mondiale in Vaticano sulla pedofilia nella Chiesa a cui hanno preso parte i presidenti delle Conferenze episcopali e i superiori generali di tutto il mondo. Al termine dell’incontro, concluso domenica, il moderatore, padre Federico Lombardi (già direttore della sala stampa della Santa sede) ha annunciato l’imminente pubblicazione di un Motu proprio del papa (una sorta di decreto) «per rafforzare la prevenzione e il contrasto contro gli abusi». La condanna di Pell potrebbe accelerare le procedure.