Potrebbe essere la vera pietra d’inciampo della coalizione giallo-verde, ben più del Tav Torino Lione o del Terzo Valico. Infatti intorno alla Pedemontana Lombarda – 90 km tra le provincie di Varese e Bergamo – si snodano le maggiori roccaforti leghiste, ma soprattutto fondi freschi per quasi tre miliardi di euro. La solita spirale cemento-asfalto su cui prosperano i partiti, da cui attingono voti e finanziamenti, a dispetto della retorica sulla difesa del territorio. Se non fosse che siamo in terra lombarda e stavolta la posta in gioco – simbolica, politica, economica e elettorale – è davvero alta.

DIVERSAMENTE non si spiegherebbe un tale accanimento verso un’opera fallimentare, nata nel lontano 1986 e ideata molto prima, che aspira soldi pubblici come un’idrovora. Tra perdite, svalutazioni, defiscalizzazioni e contributi diretti il conto ha già superato i 2 miliardi, di cui 1,2 di contributi statali a fondo perduto. Tutto rigorosamente a carico della collettività, senza contare i 450 milioni di garanzie regionali (giunta Maroni), i mega contenziosi in corso e le future (inevitabili) ricapitalizzazioni.

LE GARANZIE REGIONALI, per inciso, hanno scongiurato il fallimento della società, vista l’impossibilità di restituire il prestito di 200 milioni erogato nel 2011 da un pool di banche (inclusa Intesa Sanpaolo, secondo azionista della società).

Conti che fanno acqua da tutte le parti e che rischiano di affossare i bilanci della capogruppo Serravalle, un tempo fiore all’occhiello dell’imprenditoria pubblica lombarda, mentre la controllante Asam ha già chiuso i battenti con un buco di 100 milioni. E siamo solo a un terzo del tracciato, sul quale insiste un traffico quasi dimezzato rispetto alle previsioni. Uno studio del Politecnico del 2001 – che mostrava flussi di traffico insufficienti e avanzava possibili alternative – avrebbe dovuto mettere in guardia i proponenti, ma non fu nemmeno preso in considerazione. Qui come altrove le analisi costi-benefici sono realizzate direttamente dal concessionario, secondo una logica perversa che ha fatto non pochi danni al territorio.

OGGI MANCANO all’appello 350 milioni di capitale sociale e soprattutto 2,4 miliardi di finanziamenti a lungo termine, dai quali le banche si tengono bene alla larga. I lavori sono fermi e l’ex general contractor Strabag (dimissionato dalla società) ha chiesto extracosti per 370 milioni. Una situazione di stallo che, salvo colpi di scena dell’ultima ora, arriverà presto a Roma. Anche perché l’opera è oggetto di analisi costi-benefici presso la commissione di esperti istituita dal ministro Toninelli, che certo avrà un peso nella prosecuzione dei lavori. A quel punto lo scontro Lega-5stelle, già accesissimo in regione, sarà deflagrante.

IL GOVERNATORE FONTANA non intende fare un passo indietro ma il vero nodo sono i soldi. E i tempi. Il 2° Atto aggiuntivo alla convenzione, una volta ottenuta l’approvazione della Corte dei Conti, prescrive 12 mesi per trovare i finanziamenti. Dei quali, è bene ricordarlo, non c’è traccia. Un termine quasi impossibile da rispettare, salvo garanzie statali per qualche miliardo. Dopo il flop di Brebemi e Teem infatti, le banche sono molto più guardinghe e perfino Cassa depositi e prestiti ha chiuso i cordoni. Scaduto il termine verrebbe meno la defiscalizzazione di 380 milioni e dovrà essere ridiscusso il piano finanziario, fino all’ipotesi estrema: se entro i successivi sei mesi non si trovasse un accordo con il governo, decadrebbe la concessione. Un’eventualità che aprirebbe scenari inediti, nazionalizzazione compresa, ipotizzata a suo tempo anche dal ministro Delrio.

A DIRE IL VERO la Corte dei Conti ha già avallato nella sostanza l’Atto aggiuntivo, salvo rimandarlo al mittente per mancanza della firma digitale. Una formalità, si direbbe. Ma su quel cavillo Pedemontana ha cercato di guadagnare tempo ricorrendo al Tar, che tuttavia ha imposto recentemente al concessionario di adeguarsi. A questo punto l’ok della Corte dovrebbe essere scontato e, con esso, il conto alla rovescia per i finanziamenti.